Credibilità in politica estera, bene in politica interna malgrado qualche inciampo figlio dell’inesperienza al governo. Meloni deve saper ascoltare anche oltre il suo cerchio di fedelissimi. L’opposizione è scadente e senza proposte. Alle Europee? Si affermerà il blocco conservatore. Conversazione con l’ex presidente del Consiglio Lamberto Dini
“Ammiro Giorgia Meloni, ma deve stare attenta alle sbavature ed evitare di ascoltare solo il suo cerchio ristretto di fedelissimi”. Dalla sua residenza svizzera, l’ex presidente del Consiglio Lamberto Dini passa in rassegna con Formiche.net successi e insuccessi di un governo al crepuscolo dell’anno, provando a dare forma alle sfide per l’anno che verrà.
Ci accingiamo a lasciarci alle spalle il 2023. Che anno è stato?
Gli avvenimenti italiani, tutto sommato non sono stati drammatici. Al contrario di quanto invece sta accadendo sul piano internazionale. Penso alla recrudescenza del conflitto innescato dall’aggressione russa all’Ucraina. Così come mi preoccupa ciò che ha scatenato l’attacco di Hamas in Israele. Guardo con apprensione a ciò che ci potranno riservare anche le elezioni americane, da cui dipendono tantissime dinamiche geopolitiche globali.
Sul piano politico interno, che valutazione dà dell’esecutivo guidato dal premier Meloni?
Il governo si è “comportato” relativamente bene. Partiamo da una premessa: il contesto in cui si è trovato a operare è stato particolarmente complesso. I margini per la finanza pubblica estremamente ristretti. Mancando la grande impresa, l’Italia ha una crescita relativamente bassa benché il sistema Paese si regga grazie all’apporto del settore privato e all’ingegno sviluppato dalle Pmi. Resta, tuttavia, un dato di crescita economica piuttosto esiguo. La produttività è bassa.
Quali a suo giudizio gli errori più gravi del governo?
Quelli dettati dall’inesperienza di governo da parte di molti che compongono la compagine dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Penso, in particolare, alla tassa sugli extraprofitti alle banche. È stato un errore madornale, che è costato una retromarcia su tutta la linea a Meloni. L’idea di tassare gli extraprofitti, in principio, non era sbagliata. Ma il modo in cui si voleva applicarla era del tutto sbagliato, anche perché non era il frutto di un confronto con le parti coinvolte. E questo è un errore frutto, purtroppo, di una tendenza che riscontro nel premier.
A cosa si riferisce?
Al fatto di non ascoltare molto al di fuori della ristretta cerchia di persone del suo partito o comunque a lei molto vicine. Meloni è molto brava ma non deve commettere l’errore di pensare di sapere tutto. Si deve affidare ai consigli di persone anche oltre la sua cerchia. Anzi, direi in particolare.
Che posizionamento ha ottenuto l’Italia sotto la guida di questo governo?
Da subito Meloni ha schierato l’Italia al fianco della Nato, dell’Europa e degli Stati Uniti sulla questione Ucraina. E questo posizionamento le è valsa una grande credibilità agli occhi degli altri player internazionali. Si è qualificata come leader affidabile sotto il profilo politico. Le difficoltà maggiori le ha nel rapporto con la politica economica europea.
Immagino si riferisca in particolare alla trattativa sul Patto di Stabilità e sulla mancata ratifica del Mes.
Sì. In particolare la mancata ratifica del Mes ha fortemente indebolito la posizione italiana a Bruxelles e in qualche modo ha minato una parte importante del lavoro di costruzione di credibilità che Meloni aveva fatto nei mesi scorsi. Nell’insieme, tuttavia, la considerazione dell’Italia resta alta.
Ci accingiamo a incassare la quinta rata del Pnrr, dopo aver già ottenuto la quarta. Come leggere questo segnale?
Il lavoro fatto del ministro Raffaele Fitto è stato straordinario, benché tra i progetti del Pnrr manchino quelli legati alla realizzazione delle grandi infrastrutture di cui il nostro Paese avrebbe invece un grande bisogno. Ma i fondi del Pnrr sono fondamentali, a maggior ragione a fronte di una manovra – da 24 miliardi – tutto sommato modesta in termini di investimenti. Per cui, il risultato è soddisfacente.
Meloni come deve gestire, al meglio, i rapporti con gli alleati della coalizione?
Mi pare che con Forza Italia non ci siano problemi. La spina nel fianco evidentemente è Matteo Salvini. Il leader della Lega, persona comunque capace, porta avanti una politica populista a caccia del consenso perduto. Anche in vista delle elezioni europee. Meloni è molto forte e gode di un grande credito agli occhi degli italiani. Per cui, consiglierei a Salvini di non crearle troppi problemi e di concentrarsi in particolare sui progetti strategici come il Ponte sullo Stretto: un’infrastruttura nella quale personalmente ho sempre creduto perché potrebbe, se realizzato, aprire una finestra sull’Europa non solo alla Sicilia ma a tutto il Paese.
Ha fatto cenno all’appuntamento elettorale di primavera in Ue. Che esito prevede?
Penso che l’affermazione del “blocco conservatore” sia inevitabile. Sia perché nei momenti di instabilità la tendenza è quella di spostarsi più verso destra che verso sinistra, sia perché l’offerta socialista mi sembra molto poco competitiva.
È una critica anche all’opposizione nostrana?
Penso che Meloni sia molto fortunata ad avere un’opposizione come quella che si ritrova. Mi sembra che i partiti di opposizione si limitino a scagliarsi contro il governo e poco altro. Tante parole, ma di scarsa qualità. L’unica proposta arrivata è stata quella sul salario minimo. E, francamente, mi sembra un po’ poco.
Alla luce di questo scenario, che 2024 ci aspetta?
La Manovra, come ripeto, è risicata. Ma è frutto anche di una grande prudenza. E penso che la prudenza sia la cifra con cui si dovrà caratterizzare l’anno venturo. L’orientamento dell’esecutivo deve essere quello di ridurre il debito pubblico a favore della crescita. Sono fiducioso che Giorgia Meloni, assieme al ministro Giorgetti, ce la possa fare.