Scegliere quali siano gli indicatori su cui si intende investire, significa comprendere quali siano le priorità d’azione, e significa anche determinare quali dimensioni della vita quotidiana del nostro Paese debbano in qualche modo modificarsi. Poco importa se quest’Italia sia o meno prima in una qualsiasi delle classifiche. Quel che importa è che migliori nelle dimensioni che gli italiani ritengono importanti
La tendenza alla “specializzazione” che da più di un secolo caratterizza il mondo occidentale ha conosciuto negli ultimi decenni una spinta ancora più forte risultando in una sorta di apoteosi di un modello scientifico-informatico-tecnologico-economico che oggi contraddistingue la nostra cultura.
Tra le numerose e quotidiane manifestazioni di questa evidenza, le classifiche dei Paesi sulla base di una determinata “variabile” o “dimensione” meritano probabilmente una riflessione dedicata.
Soltanto in un mondo che pretende di poter misurare ogni cosa si può, ad esempio, immaginare di definire una classifica che stabilisca quali nazioni sono più competitive di altre, o quali nazioni siano più creative di altre, o ancora quali nazioni presentino una migliore qualità della vita.
Ci sono delle premesse culturali, alla base di tali classifiche, che non possono essere ignorate.
In primo luogo la pretesa (o l’illusione) che differenti nazioni nel mondo possano essere poste a confronto sulla base di singoli elementi. Per capirci, che l’Afghanistan e la Norvegia possano essere concretamente “comparati”, al netto di ogni differenza umana, sociale e culturale, sulla base di una manifestazione di una determinata variabile. Questa premessa è fondamentale, perché senza quest’assunzione di base nessuna classifica avrebbe più senso.
La seconda è che si possa misurare una determinata manifestazione di una nazione ignorando le altre dimensioni della vita in quella determinata nazione. Il che equivale, per intenderci, a comparare due “pazienti”, basandosi soltanto su uno specifico valore delle analisi del sangue. Certo, si può anche affermare che essendo il territorio un sistema complesso, e quindi profondamente interconnesso, qualsiasi manifestazione patogena generi delle ripercussioni su tutte le altre dimensioni. Obiezione sicuramente valida ma che nella pratica conduce ad una riflessione molto, molto delicata, che va quindi contestualizzata al fine di evitare generalizzazioni spicciole.
Entrando nel dettaglio, quindi, ipotizziamo (ma non è affatto un’ipotesi), che nell’ultima classifica sulla competitività nel mondo, redatta da IMD, gli Emirati Arabi Uniti si posizionino al decimo posto, e l’Italia al 41°. Ora ipotizziamo (ma neanche questa è un’ipotesi), che in altre classifiche, tutte autorevoli, gli Emirati Arabi Uniti si posizionino a livelli molto più bassi, come ad esempio nella classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa (145° su 180 Paesi), o come nel Democracy Index (Economist Intelligence Unit), gli Uae presentino un indice di democrazia pari a 2.9 in una scala da 0 a 10.
E questo porta dunque alla dimensione delicata: se accettiamo come valida l’obiezione (e sicuramente lo è) che interpreta il territorio come un sistema interconnesso, questi risultati ci portano soltanto a due conclusioni: o i dati che vengono analizzati tendono ad isolare dimensioni che non sono di interesse per la classifica (come il livello di democrazia o di libertà di stampa), o dobbiamo accettare che democrazia e libertà di stampa non rappresentano dei fattori positivi per le nazioni.
Infine la terza premessa: tutte le nazioni del mondo sono in una competizione perenne. E questa competizione si gioca su fattori che sono identici per tutti. Anche qui occorre andare più nel dettaglio per evitare fraintendimenti.
E per farlo si può ridurre anche notevolmente la scala di grandezza, e guardare, ad esempio, alla classifica che compara le province italiane per qualità della vita che ha visto la provincia di Udine guadagnare il primo posto. La classifica, che si basa su indicatori oggettivi e validissimi, restituisce un risultato che è incontrovertibile nella misura in cui si ignora qualsivoglia retaggio culturale. Una donna o un uomo del sud Italia, probabilmente, attribuiscono al concetto di Qualità della Vita, una serie di caratteristiche che la provincia di Udine non può possedere. Così come farebbero, per uscire fuori dagli stereotipi, un romano o un milanese.
Se questo esempio è vero per una dimensione regionale, si pensi alle differenze che sussistono su scala globale, e come, una persona nata e cresciuta in Yemen percepisca la qualità della vita in modo differente rispetto ad una persona nata e cresciuta in Sud Africa, o in Svizzera.
Interessante, in questo senso, è un’operazione condotta dall’Oecd, che ha chiesto alle persone di differenti nazioni di indicare, tra una serie di indicatori, quali percepiscano come più determinanti.
Non avendo un esatto valore statistico, e pur essendo chiaramente rivolta ad una categoria specifica di persone, questa operazione lascia comunque delle suggestioni interessanti, come il fatto che in Italia, gli elementi che i rispondenti hanno indicato più frequentemente come più influenti nella qualità della propria vita siano, nell’ordine, la salute, la “Life Satisfaction”, e l’educazione. E come, invece, negli Emirati Arabi, i rispondenti abbiano dato il podio al livello di reddito, seguito dalla sicurezza e ponendo solo al terzo posto la Life Satisfaction.
A cosa conducono dunque, queste riflessioni?
Ad una evidenza piuttosto semplice, e vale a dire al fatto che, ad oggi, utilizziamo lo strumento delle classifiche in modo probabilmente sbagliato. Nella maggior parte dei casi, infatti, si procede con l’analizzare le singole classifiche, e utilizzare i risultati di tali classifiche in modo piuttosto aritmetico, comparando l’anno in corso con quello precedente, o comparando due Paesi differenti.
Lo strumento delle classifiche, al contrario, può risultare utile nel momento in cui si tende ad utilizzare le informazioni in esse schematizzate interpretandole alla luce di una visione che tenga conto degli aspetti che caratterizzano un determinato Paese, e vale a dire i valori che tale Paese esprime o intende esprimere, la cultura di quel determinato Paese, e le ambizioni, politiche, economiche, sociali e culturali, che pervadono la cittadinanza di quella determinata nazione.
Ritornando alla classifica sulla competitività citata all’inizio di questa riflessione, ad esempio, si può ad esempio valutare quali, tra gli indicatori che la compongono, risponda meglio alle aspirazioni e alle caratteristiche culturali dell’Italia.
Gli indicatori sono raccolti in differenti dimensioni: Economic Performance, Government Efficiency, Business Efficiency, Infrastructure.
È a tutti noto che l’Italia non potrà, nei prossimi 5 o 10 anni, primeggiare su ognuna di queste dimensioni.
È anche a tutti noto che per primeggiare in queste dimensioni è necessario applicare una serie di cambiamenti molto importanti non solo agli indicatori selezionati, ma anche a tutti gli indicatori che in questa specifica classifica non vengono conteggiati.
Si tratterebbe, in altri termini, di una modifica della vita quotidiana, del modo in cui le persone trascorrono il proprio tempo libero, di ciò che le persone ritengono importante trasmettere ai propri figli.
Ben più efficace e realistico è invece guardare a queste classifiche con un occhio più attento e chiedersi su quali indicatori si possa intervenire in modo da introdurre all’interno del nostro Paese dei cambiamenti che siano effettivamente raggiungibili e che siano anche coerenti con la nostra cultura.
Capire, ad esempio, se per il nostro Paese possa valere di più investire nello sviluppo di server (indicatore n. 4.02.05) o se abbia più senso investire in modo da incrementare gli investimenti diretti esteri (indicatore n. 2.04.04), o se ancora abbia più senso far sì che il nostro Paese riduca il livello di disuguaglianza nella distribuzione del reddito.
Scegliere quali siano gli indicatori su cui si intende investire, significa comprendere quali siano le priorità d’azione, e significa anche determinare quali dimensioni della vita quotidiana del nostro Paese debbano in qualche modo modificarsi.
Guardando tutte le classifiche, in altri termini, possiamo definire, in modo puntuale e concreto, quale sia l’Italia che vogliamo da qui a 10 anni.
Poco importa se quest’Italia sia o meno prima in una qualsiasi delle classifiche. Quel che importa è che migliori nelle dimensioni che gli italiani ritengono importanti.