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L’importanza della finanza pubblica

Andrea Monorchio è stato per lungo tempo Ragioniere generale dello Stato, un ruolo di grande prestigio da lui ricoperto sempre con distacco e spirito di servizio. Non si spiegherebbe perché gli abbiano rinnovato la fiducia i governi dei più diversi orientamenti, facendolo addirittura partecipare ai Consigli dei ministri. Il suo compito era quello di tenere in ordine i conti non semplicissimi del bilancio dello Stato italiano. È uno dei massimi esperti di finanza pubblica e la sua esperienza rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia avventurarsi fra quei numeri complicati che sono citati nel bilancio pubblico e che lui conosce a menadito.
Professore, il grande pubblico, e forse persino la politica, hanno scopertol’importanza della finanza pubblica.
 
«In questi anni, nel Paese e nelle sue classi dirigenti, è maturata quella cultura economica in cui precedentemente non brillavamo. Adesso tutti riconoscono la connessione strettissima fra finanza pubblica e crescita economica. Nonostante la partecipazione all’Unione europea ed alla moneta unica, nessuno mette in discussione l’importanza che la finanza pubblica riveste in ogni singolo Stato. Da questo punto di vista la vicenda greca è emblematica: il Paese ha perso sovranità monetaria in favore dell’euro (scelta peraltro irreversibile) e quindi per scongiurare la crisi deve necessariamente intervenire con misure di finanza pubblica per ripianare il suo enorme debito».
 
Dopo il fallimento di Lehman si pensava che l’intervento degli Stati potesse far fronte alla crisi finanziaria. La Grecia ci ha fatto ricordare che il default è un rischio anche per i singoli Stati.
 
«Default significa l’incapacità finanziaria di un Paese di far fronte alle proprie obbligazioni nei confronti di coloro che hanno acquistato titoli del debito pubblico, come è accaduto in Argentina. Ovviamente si tratterebbe di una iattura perché un Paese che va in default non troverà mai più nessuno disponibile a sottoscrivere i titoli. La Grecia ha corso il rischio del fallimento e ora la preoccupazione riguarda la situazione di altri Paesi come
il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna, che hanno situazioni analoghe in termini di rapporto deficit/Pil e in termini di rapporto debito/Pil. La paura che i sottoscrittori di titoli non vadano a rinnovare il debito per timore di avere un default ha indotto l’Unione europea a varare un grande piano di aiuti che ha avuto il merito di ridare fiducia ai mercati. La vicenda della Grecia è importante perché credo abbia attirato molto l’attenzione dell’opinione pubblica sul trattato di Maastricht e sul Patto di stabilità e crescita, argomenti pressoché ignoti alla maggior parte
delle persone. In realtà, il patto di stabilità si concretizza in una sola espressione: “pareggio di bilancio”. L’Europa prescrive che tutti i Paesi che partecipano al Patto conseguano il pareggio di bilancio ed individua nel 3% del rapporto deficit/Pil la soglia dello scostamento massimo possibile. In pratica, un Paese che si trova in una difficoltà congiunturale può essere autorizzato a distaccarsi dal pareggio, mai superando il 3% del rapporto deficit/Pil».
 
Lei ha citato il piano europeo. Abbiamo visto tutti i momenti drammatici che l’Unione ha vissuto con riunioni l’una dopo l’altra e le tensioni fra i governi e la Bce. Quello del debito pubblico è un problema che lei ha conosciuto da vicino.
 
«Ai tempi in cui ero Ragioniere generale dello Stato, in particolare nella prima metà degli anni ’90, il Tesoro emetteva mediamente ogni mese 40mila miliardi di titoli in parte per il rinnovo di quelli in scadenza e in parte per finanziare il disavanzo dell’anno. Lei si immagini cosa sarebbe successo se non ci fosse stata la fiducia dei sottoscrittori: non avremmo più potuto pagare gli stipendi, le pensioni e le altre spese pubbliche. In caso di mancata sottoscrizione in tutto o in parte dei titoli emessi, non restava altro che chiedere alla Banca d’Italia di stampare moneta. Cosa che successe. Con l’onorevole Goria ministro del Tesoro, ci fu un’anticipazione straordinaria di Bankitalia che erogò 8mila miliardi, se non ricordo male, a titolo di anticipazione straordinaria. Questa anticipazione fu sanata in Parlamento con una apposita norma inserita nella legge di approvazione del rendiconto generale dello Stato. Pochi anni prima, con Andreatta ministro, c’era stato il cosiddetto divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia. Fino ad allora e senza necessità di alcuna sanatoria legislativa Bankitalia sottoscriveva i titoli di Stato che non erano sottoscritti dal pubblico. Facendo questo, creava moneta e inflazione».
 
Adesso però pare che il prossimo dossier riguarderà una nuova versione del Patto di stabilità e crescita.
 
«Credo che l’indirizzo sia quello di una più severa disciplina di controllo in corso d’anno e di un inasprimento delle sanzioni. Vedremo più avanti quali proposte saranno presentate. Maastricht – e non poteva fare diversamente – ha esaltato il debito pubblico, quello dello Stato. Ma, in effetti, la situazione finanziaria di un Paese si vede anche nelle altre componenti di debito: debito delle famiglie, debito delle società non finanziarie (quindi non delle banche). Sommando il debito pubblico, più il debito delle famiglie, più il debito delle società non finanziarie del nostro Paese possiamo notare che siamo un Paese abbastanza sano, stiamo poco al di sotto del livello complessivo del debito della Germania. Perché? Perché abbiamo un debito delle famiglie basso – l’ultimo dato che leggevo è del 40% in rapporto al Pil – anche il debito delle corporate è basso, per via del fatto che noi abbiamo un sistema caratterizzato da piccole e medie imprese, quindi il leverage dei bilanci è modesto. Anche per via, mi consenta, dell’evasione fiscale. L’altra grande verità è che le attività finanziarie nette delle famiglie ammontano mediamente per ogni famiglia a circa 43mila euro. Le attività finanziarie nette delle famiglie possono coprire per oltre tre volte il debito dello Stato. E anche in questo caso i tre Paesi che stanno in condizioni buone sono Germania, Francia e Italia. Il rapporto tra lo stock di attività finanziarie nette delle famiglie in rapporto Pil è del 65% mi pare, del 63% in Francia, del 61% in Germania».
 
L’Italia è, dal punto di vista della finanza pubblica, un Paese migliore di quello che viene rappresentato, ma il debito resta comunque la nostra croce.
 
«Certamente per il nostro Paese, Maastricht o no, vale un unico consiglio: ridurre il nostro debito pubblico. Il debito ci fa pagare una montagna di interessi, e nonostante la favorevole condizione dei bassi tassi di interesse, paghiamo 70-80 miliardi di euro di interessi all’anno. Proviamo a pensare cosa significherebbe liberarsi della metà di questi interessi: avremmo 40-50 miliardi disponibili per abbassare le tasse, per fare le infrastrutture di cui questo Paese necessita, per fare molte altre cose. Bisogna scommettere sulla crescita economica. Essendo il rapporto debito/Pil legato a un numeratore e un denominatore, è evidente che se il denominatore non cresce, il peso del debito non diminuisce. D’altra parte l’equazione del reddito è semplicissima: R=C+I, ricchezza = consumi + investimenti. Se noi vogliamo aumentare il primo termine dell’equazione, dobbiamo agire sul secondo termine dell’equazione, sui consumi e sugli investimenti. A proposito di questi ultimi, va ricordato che il nostro Paese è scarsamente infrastrutturato. Noi abbiamo bisogno di termovalorizzatori, di strade, di porti, di alta velocità: realizzare queste opere dovrebbe essere una priorità. Il nostro Paese dovrebbe eliminare i veti».
 
Una ricetta è quella del federalismo, compreso quello fiscale.
 
«La legge di delega è un grande quadro, che ancora non ha un disegno all’interno, il disegno lo vedremo, quando faranno i decreti delegati. Io personalmente penso che si attribuisca al federalismo un potere taumaturgico che non ha. Certo, sotto il profilo concettuale, che cosa c’è di meglio del federalismo? Responsabilizza gli amministratori nei confronti dei cittadini, e quindi provoca anche un sano spirito di competizione tra una regione e l’altra. Però, come sarà attuato? La difficoltà è proprio questa. Già, per esempio, per quanto riguarda il federalismo demaniale, per le poche cose che ho letto, c’è un problema di attribuzione di questi cespiti in relazione al fatto che deve poi anche essere ripartita la spesa per il debito pubblico: io ti do questi beni, però tu ti carichi questa percentuale di debito, perché i beni pubblici stanno come garanzia del pagamento del debito. E quindi già ci sono i primi distinguo. Questo le fa vedere la difficoltà nel momento in cui si andrà alla seconda parte del federalismo, quando dovranno essere individuati – mi consenta il termine che mutuo da quello della sanità – i livelli equivalenti di servizi, i cosiddetti Lea, onde garantire che tutto lo Stato abbia un livello di servizi (a livello di trasporti, a livello di servizi generali) comune e
uguale per tutto il Paese. E poi appunto questa solidarietà come si concretizza e come si realizza? Sono aspetti che rappresenteranno una sfida notevole per il legislatore».


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