In Europa non bisogna perdere l’occasione legata alla transizione verso l’elettrico favorita da una decisione importante, quella della scelta a favore dell’auto elettrica al 2035. Si tratta di una scelta che ha messo in moto massicci investimenti, soprattutto da parte dell’industria automobilistica tedesca. Il commento di Luigi Paganetto
I risultati della Cop28 di Dubai sono stati interpretati sia come un successo che come una opportunità mancata.
La differenza tra le due valutazioni sta nel fatto che non si è arrivati a concordare tra gli Stati decisori i tempi e i modi di una uscita dai combustibili fossili. Rimane però fissata un’idea importante, la volontà di procedere ad un phase out, cioè ad una eliminazione graduale del loro impiego con una transizione verso forme di energia diversa rispetto a quella ricavata dai fossili.
Tutto ciò è avvenuto nonostante l’enorme varietà delle situazioni sottostanti a questa decisione, soprattutto quelle, dei Paesi in via di sviluppo che non hanno contribuito se non per una parte assai modesta all’inquinamento da Co2 e chiedono, in cambio della transizione, quanto meno degli indennizzi adeguati.
L’Europa, in questo quadro, ha una posizione particolare perché, anche se oggi produce solo il 7-8% dell’inquinamento totale, ha contribuito massicciamente, nel tempo, alla produzione di Co2, dalla rivoluzione industriale in poi.
È anche per questo, che è la parte più attiva a sostenere a livello internazionale l’uscita dai combustibili fossili: lo è naturalmente, anche sul piano interno e in ciascun Paese. Ne fanno fede programmi per la transizione verde e per il clima che hanno assunto, nel tempo, un’importanza crescente.
Sono programmi che hanno un aspetto peculiare, non sempre adeguatamente enfatizzato, cioè quello di unire alle esigenze climatico-ambientali quelle a favore dello sviluppo sostenibile.
Va ricordato infatti che il Green Deal europeo, nel proporre il raggiungimento della neutralità climatica per il 2050, persegue, allo stesso tempo, gli obiettivi di una “transizione giusta” e socialmente equa insieme al rafforzamento dell’innovazione e della competitività dell’industria.
Val la pena di soffermarsi su quest’aspetto in un momento come l’attuale in cui si manifestano, per un verso, perplessità per l’accelerazione imposta dalla Ue alle polititiche climatiche con l’adozione del FIT 55: tutto questo con il rischio di corse all’indietro e, per altro verso, di dover fronteggiare una crescita assai modesta delle economie dell’eurogruppo.
Per non parlare del rischio del prevalere di una tendenza alla stagnazione per i prossimi 2-3 anni.
In questo quadro è essenziale la capacità di utilizzare al meglio la transizione verde per introdurre innovazione nell’economia europea e partecipare con successo alla sfida tecnologica e competitiva di cui, Cina e Usa sono i principali attori,se non si tiene conto dell’attivismo dei Brics.Contano, a questi effetti, i poderosi pacchetti di politica industriale decisi, a cominciare dagli Usa con l’Ira (Inflation Reduction Act ) con quasi 500 miliardi di dollari,a favore dell’innovazione.
In Europa non bisogna perdere l’occasione legata alla transizione verso l’elettrico favorita da una decisione importante, quella della scelta a favore dell’auto elettrica al 2035.
Si tratta di una scelta che, pur accompagnata dalle critiche di chi avrebbe voluto lasciare al mercato la scelta sulla tecnologia da adottare, ha messo in moto massicci investimenti, soprattutto da parte dell’industria automobilistica tedesca.
Ma non ha però dato il via ad un piano d’investimenti europei di accompagno, paragonabile a quello di cui è stata capace la Ue dopo il Covid-19 con il Next Generation Eu.
È vero che si tratta di un caso diverso perché oggi, diversamente da allora, quando si doveva sostenere con gli investimenti la domanda europea si tratta di puntare su investimenti innovativi, ad alto rendimento.
Per farlo si potrebbe seguire il modello Juncker che è stato un esperimento di successo e prevedeva un incentivo agli investimenti privati con un intervento a garanzia della Bei.
D’altronde è chiaro che non basta procedere a livello Paese con mezze misure come quelle, in atto da qualche tempo, dell’allentamento delle regole europee che vietano i sussidi pubblici per gli investimenti.
La sfida competitiva in atto richiede investimenti che, per taglia e caratteri, solo la Ue può garantire e/o fare.
Si va avanti, invece, lamentando il ritardo sin qui accumulato con la Cina su pannelli solari, batterie, automobili elettriche, magari chiedendo eccezioni a favore di combustibili sintetici (Germania) e biocombustibili (Italia) ma senza mettersi in corsa, a livello europeo, con i necessari investimenti sull’elettrico che ha dalla sua parte non solo il vantaggio ambientale ma anche quello di una efficienza decisamente superiore. Si tratta di pensare che, in un mondo in trsformazione tecnologica, il ritardo rispetto alla Cina non è necessariamente incolmabile.
Per il nostro Paese, a differenza di Francia e Germania, manca una precisa programmazione della transizione che consenta, nella grande incertezza che domina l’economia di oggi, di aver chiaro con quali tempi e modalità si realizzerà la politica industriale a favore dell’elettrico.
Significa programmare ciò che accadrà alla nostra industria automobilistica o, meglio, a ciò che ne rimane (poco meno di 200.000 addetti). E, soprattutto, sostenere il settore della componentistica che vanta molti successi ma che ha bisogno di una riconversione in vista dell’elettrico e delle nuove tecnologie incorporate nelle auto.
Occorre perciò definire in quale contesto dovrà muoversi il nostro settore dell’automotive, di quali regole si potranno giovare i servizi per l’elettrico a cominciare dalle colonnine di rifornimento per continuare con i sistemi informatizzati di distribuzione dell’energia. Non dimenticando le regole previste per il regime fiscale di vantaggio per i veicoli a bassa emissione che non può continuare ad includere, come oggi, anche quelli che marciano bruciando combustibili fossili.
Ma non basta. Perché mentre ci lamentiamo degli scarsi spazi di spesa che ci lasciano le nuove regole del Patto di stabilità, ci dimentichiamo delle grandi opportunità d’investimento che ci dà il Pnrr, in materia di conversione verso l’elettrico. Contano i tempi d’intervento e la capacità di incidere con le nuove tecnologie sull’efficienza della distribuzione dell’energia elettrica, che deve essere quella che proviene dalle rinnovabili se si vuole realizzare il circuito virtuoso innestato dall’auto elettrica.
Per vincere la sfida sull’elettrico occorre infine occuparsi di un aspetto che suscita scarsa attenzione ma che è invece decisivo: la nostra insufficiente partecipazione agli Ipcei.
Gli Ipcei sono i grandi progetti innovativi transfrontalieri in settori strategici per l’industria europea (microelettronica, batterie, idrogeno), che coinvolgono diversi Stati membri.
Ed è solo essendo parte attiva di questi progetti che si può partecipare con successo alla sfida competitiva globale in atto e ottenere la crescita della produttività di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere il cammino della crescita.