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Mettere l’Africa al centro del G7. L’obiettivo di Roma spiegato da Stefanini

C’è una convergenza fra interesse occidentale ad allacciare un rapporto più stretto e cooperativo col Sud globale e italiano a farsene alfiere in veste di presidenza di turno, declinandolo verso l’Africa rimasta a lungo ai margini della globalizzazione. La collocazione geografica è felice. Non basteranno però le buone intenzioni o le belle parole. L’analisi di Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi e già rappresentante permanente d’Italia alla Nato

Le presidenze sono ambite per visibilità e temute per responsabilità. Il G7 non fa eccezione. Il 2024 tocca all’Italia. La navigazione fra l’una e le altre sarà irta di scogli, tra guerre in corso ed elezioni in calendario. Roma parte con le idee abbastanza chiare. Punta a consolidare il G7 come consiglio d’amministrazione dell’occidente senza chiuderlo a riccio intorno a “chi la pensa come noi” (like-minded in gergo diplomatico) ma aprendolo al dialogo col “Sud globale”.

Che, per l’Italia, vuol dire in primo luogo Africa per il combinato disposto di energia, flussi migratori, sicurezza mediterranea e penetrazione cinese e russa da Capetown a Bengasi. Un G7 a presidenza italiana che accolga la voce dell’Africa – come riuscirci con più di cinquanta Stati è un nodo da sciogliere – si salderebbe alla priorità nazionale del Piano Mattei. Per farlo decollare Roma ha bisogno di metterlo nell’agenda del G7 e dell’Unione europea: pensare di portarlo avanti in un quadro solo Italia-Africa è velleitario. La ratio è impeccabile.

Negli ultimi due anni il G7 ha messo a fuoco la coesione occidentale di fronte a due grandi sfide esterne: Russia e Cina. Nel giugno del 2022, sotto lo shock del ritorno della guerra in Europa, il summit si riuniva sulle Alpi bavaresi a un migliaio di chilometri di distanza dall’Ucraina sotto attacco. L’anno successivo, a Hiroshima, lo scenario è stato dominato dall’ombra lunga della Cina che ha condotto alla strategia di “minimizzazione dei rischi” (de-risking), poi adottata anche dall’Ue.

Ma il G7 deve anche guardare al resto del mondo per due motivi: emergenza di altri poli economici, industriali e tecnologici importanti, con la vecchia formula dei “sette Paesi più industrializzati” che riflette sempre meno la realtà mondiale; concorrenza senza quartiere di Pechino e Mosca in Africa, Asia e America Latina.

C’è pertanto una convergenza obiettiva fra interesse occidentale – ergo del G7 – ad allacciare un rapporto più stretto e cooperativo col Sud globale e interesse italiano a farsene alfiere in veste di presidenza di turno, declinandolo verso l’Africa rimasta a lungo – ma sempre meno – ai margini della globalizzazione. La collocazione geografica è felice.

Da dove meglio che dalla Puglia proiettare il G7 verso il mondo arabo e africano? Non basteranno però le buone intenzioni o le belle parole. Il Sud globale ha molti corteggiatori. Va “conquistato”, cioè convinto che il rapporto cooperativo con l’occidente sia preferibile al vetusto non allineamento o ad alternative di collaborazione autocratica.

L’Italia si troverà in una competizione indiretta con la Russia che nel 2024 prende la presidenza dei Brics con il dichiarato obiettivo, enunciato dal presidente Putin (in video) al vertice di Johannesburg, di fare del gruppo il portavoce della “cosiddetta maggioranza globale”. Che significa “mobilitare il non-occidente contro l’occidente” come illustra Kadri Liik dello European council on foreign relations (Ecfr).

È gara aperta: Puglia contro Tatarstan (il vertice Brics si terrà a Kazan in ottobre), Mediterraneo contro cuore dell’Eurasia. Il ruolo delle presidenze non va sopravvalutato. Non solo perché il G7 opera per consenso, ma soprattutto perché è l’attualità internazionale a imporsi sull’agenda.

Quali che siano i piani della presidenza l’attenzione si concentra inevitabilmente sulla crisi o le crisi del momento. Non ne mancano: all’Ucraina si è aggiunto il Medio Oriente. Presumendo che il conflitto attivo fra Israele e Hamas sia terminato, a metà giugno si porrà in tutta la sua complessità il problema del “dopo”, a cominciare dall’amministrazione e ricostruzione di Gaza.

Il G7 non potrà ignorare il Medio Oriente, non fosse altro che per le sorti umanitarie dei due milioni di abitanti palestinesi della Striscia. Come non parlarne? La crisi mediorientale condiziona indirettamente proprio quel rapporto col Sud globale che la presidenza italiana vuole promuovere al vertice pugliese. Per una presidenza di successo non bastano le idee chiare nel programmare; queste occorrono anche nell’adattarsi con elasticità alle circostanze internazionali. Che non stanno mai ferme.

E se le elezioni inasprissero la questione di Taiwan e i rapporti dell’occidente con la Cina? Anche l’India vota fra aprile e maggio: ecco che lo scacchiere indo-pacifico prorompe di nuovo sul tavolo del G7. Come cantava Giorgio Gaber, “la realtà è un uccello che non ha memoria, devi immaginare da che parte va”. Di questi tempi, alla presidenza italiana del G7 occorrerà anche molta immaginazione.

Riflessione pubblicata sulla Rivista Formiche 198



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