Il governo Meloni guarda con rinnovato interesse all’atomo e delineerà la nuova strategia italiana per un nucleare sostenibile proprio nell’anno della presidenza del Gruppo dei sette. Nell’alveo della spinta globale verso il nucleare, questo G7 sarà fondamentale per fare sì che gli impegni possano trasformarsi in azione, ossia investimenti. L’analisi di Otto Lanzavecchia
I giorni finali della Cop28 di Dubai sono stati segnati dalla battaglia sul destino dei combustibili fossili. Il risultato: per la prima volta nella storia della conferenza è stata messa nero su bianco, pur con mille distinguo e una certa vaghezza di termini, la volontà dei quasi 200 Paesi firmatari di allontanarsi dai combustibili fossili. Il testo aggiornato indica una serie di tecnologie a basse emissioni come soluzioni valide sulla strada verso la decarbonizzazione.
E tra di esse – altro primato nella storia della Cop – è comparsa la parola nucleare; uno sviluppo che andrà a definire il lavoro del G7 a guida italiana. L’inserimento dell’atomo tra le alternative agli idrocarburi è una “pietra miliare” che “riflette quanto siano cambiate le prospettive”, aveva commentato il capo dell’agenzia Onu per l’energia atomica Rafael Mariano Grossi.
La prospettiva è quella di affiancare centrali nucleari alle rinnovabili, garantendo l’approvvigionamento di elettricità programmabile per compensare alla mancanza di sole e vento ed evitando di dover rivoluzionare la rete elettrica – con annessi costi esorbitanti e largo impiego di materie prime e batterie – per rendere il sistema adatto alla generazione intermittente e decentralizzata. Una soluzione che risponde anche alle esigenze di sicurezza e autonomia energetica, in primo piano da quando l’energia è diventata l’arma che Vladimir Putin ha brandito contro l’Europa.
Con queste e altre ragioni in mente una ventina di Paesi hanno promesso di triplicare la capacità mondiale di generare energia nucleare entro il 2050. Sono ancora di più le nazioni che parteciperanno al primo vertice internazionale in materia, che si terrà a Bruxelles il prossimo marzo e potrebbe includere anche l’Italia in qualità di Paese osservatore, stando alle parole del ministro Gilberto Pichetto Fratin.
Attorno al tavolo ci saranno istituzioni finanziarie (dalla Banca Mondiale in giù) e settore privato, che i fautori dell’atomo hanno esortato a investire di più sulla filiera per accelerare la costruzione di centrali e realizzare al contempo catene di approvvigionamento sicure. Sono sviluppi importanti, ma non figli esclusivi della Cop emiratina. I semi erano stati piantati la scorsa primavera sotto l’egida del G7 a guida giapponese.
Gli impegni emersi alla Cop28 riflettono quelli dei cosiddetti “Sapporo 5”, i cinque membri del gruppo dei sette (Canada, Francia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) già presenti nella filiera dell’atomo, che avevano esplicitato l’obiettivo di triplicare la produzione di energia nucleare e l’urgenza di poter contare su catene di approvvigionamento resilienti, specie per il combustibile, con particolare enfasi sulla riduzione della dipendenza dalla Russia.
Alla Cop questa promessa si è sostanziata nell’impegno a mobilitare almeno 4,2 miliardi di dollari (tra investimenti governativi e privati) nei prossimi tre anni. Si vuole creare un mercato dell’uranio libero dall’influenza russa e basato su fornitori affidabili, in parallelo alle spinte occidentali per limitare la dipendenza dagli idrocarburi russi e le materie prime cinesi.
Una cooperazione multilaterale di respiro politico, pensata per “rafforzare i [rispettivi] settori nazionali” e “stabilire condizioni di parità per competere più efficacemente contro i fornitori predatori”, hanno dichiarato i cinque di Sapporo. Verrebbe da pensare che la denuclearizzata Italia abbia poca voce in capitolo. Il governo Meloni guarda con rinnovato interesse all’atomo e delineerà la nuova strategia italiana per un nucleare sostenibile proprio nell’anno della presidenza del G7.
Tuttavia, nell’alveo della spinta globale verso il nucleare, questo G7 sarà fondamentale per fare sì che gli impegni possano trasformarsi in azione, ossia investimenti, che a loro volta hanno bisogno di sicurezza legislativa e garanzie istituzionali, che sono il prodotto di una più ampia visione strategica per l’intera filiera, dall’uranio all’elettricità pulita. Anche secondo la tassonomia europea investire nell’atomo è funzionale alla transizione ecologica.
Ma come ha sottolineato Grossi, creare un ambiente di investimento equo e favorevole per i nuovi progetti nucleari “rimane una battaglia in salita”. In questa congiuntura, il Paese di Enrico Fermi può ritagliarsi un ruolo fondamentale aiutando a traslare il principio di neutralità tecnologica in condizioni favorevoli per chi muove denaro. La dimostrazione di come uno Stato completamente denuclearizzato possa tornare ad abbracciare la generazione di energia blu.
(Articolo pubblicato sulla rivista Formiche 198)