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I due rischi della candidatura di Meloni. Il commento di Cangini

Il rischio, paradossalmente, è che candidandosi alle europee Giorgia Meloni stravinca e che tale ultra vittoria accresca la frustrazione degli alleati fino a ripercuotersi sulla tenuta del governo. I moniti di Cangini

Sono almeno due le ragioni che sconsiglierebbero a Giorgia Meloni di candidarsi alle Europee di giugno. La prima la illustrammo su queste colonne lo scorso 23 novembre. In estrema sintesi. Le impuntature, sostanzialmente antieuropeiste, di Matteo Salvini (dal Mes ai balneari) hanno indotto la premier ad assecondare il capo leghista mettendo a repentaglio il patrimonio di credibilità accumulato a livello europeo.

In caso di candidatura di entrambi, lo schema si riproporrebbe in campagna elettorale e c’è da credere che anche stavolta Giorgia Meloni si sentirebbe obbligata ad inseguire Salvini sul suo terreno, con evidenti ricadute negative sulla fiducia di partner europei e mercati internazionali nei confronti dell’esecutivo. Un esecutivo che, peraltro, a giugno avrà la presidenza del G7.

La seconda ragione attiene agli equilibri politici interni alla coalizione. I sondaggi accreditano oggi FdI di un 29% circa dei consensi: è l’unico partito della coalizione in crescita rispetto alle scorse politiche. FI e Lega sono in sofferenza. Antonio Tajani terrà il congresso di Forza Italia il 24 febbraio.

Si aspetta di essere riconfermato nel ruolo di leader, ma deve contenere una fronda interna e ha il problema di non allontanarsi troppo dall’8%, risultato delle scorse Politiche, in un voto, quello per le Europee, che sarà il primo del dopo Berlusconi. Matteo Salvini è alle prese con il malessere che alligna nel suo partito nelle due regioni chiave per l’identità leghista: il Veneto e la Lombardia. I ceti produttivi lo accusano di inconcludenza, i dirigenti locali del suo partito di velleitarismo.

Se Giorgia Meloni decidesse di candidarsi sarebbe difficile per i suoi due vicepremier non fare altrettanto. Ma Tajani rischierebbe di sfigurare nella raccolta delle preferenze. Anche Salvini, che alle scorse europee ottenne il 34,3% e che i sondaggi accreditano oggi di un modesto 9%, rischierebbe di sfigurare.  Se FdI continuerà a porre il veto alla possibilità di un terzo mandato per i governatori delle regioni, il presidente del Veneto Luca Zaia sarebbe indotto a candidarsi, col rischio per Salvini di vedere il suo principale antagonista interno ottenere più voti di preferenza di lui. Si aprirebbe allora, di fatto, una corsa per la leadership del partito.

Sono questi gli scenari che agitano i sonni dei leader del centrodestra e che spiegano le tensioni di questi giorni sulle candidature alla regione Sardegna. Sullo sfondo, come ha osservato oggi Stefano Folli su Repubblica, la competizione feroce tra Salvini e la Meloni (“stavolta  l’impressione è che alla fine debba restarne uno solo”) e la tendenza di Giorgia Meloni a negare spazi politici vitali ai propri alleati pur ricoprendo il ruolo di leader non solo del proprio partito ma dell’intero centrodestra.

Silvio Berlusconi, ricorda l’editorialista di Repubblica, era solito farsi concavo e convesso a seconda delle esigenze dei propri alleati minori; Giorgia Meloni no. Il rischio, paradossalmente, è che candidandosi alle europee Giorgia Meloni stravinca e che tale ultra vittoria accresca la frustrazione degli alleati fino a ripercuotersi sulla tenuta del governo.

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