In verità, ancora una volta, l’obiettivo principale perseguito dai dirigenti dei partiti italiani è meglio definibile come “regolamento dei conti”. I voti ottenuti serviranno per ridefinire i rapporti di forza, soprattutto all’interno della coalizione di governo. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, socio dell’Accademia dei Lincei, europeo di nascita e cittadinanza
Qualsiasi riflessione/considerazione sulle candidature per l’elezione del Parlamento europeo deve preliminarmente mettere in rilievo un elemento: l’incompatibilità fra le cariche nazionali di rappresentanza e di governo e il ruolo di europarlamentare. Pertanto, la prima domanda da rivolgere ai candidati/e riguarda per quale carica opterà: rimarrà in Italia o andrà a svolgere il ruolo, certamente importante di europarlamentare. Matteo Salvini ha già annunciato che non si candiderà e continuerà a svolgere il suo doppio, forse triplo, lavoro: ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, vicepremier e senatore della Repubblica. I maligni sostengono che teme l’eventuale confronto con i voti che prenderebbe Giorgia Meloni se scendesse in campo. Sembra, infatti, che la presidente del Consiglio sia tentata dalla candidatura, caldeggiata da molti Fratelli d’Italia poiché effettivamente porterebbe voti al partito in tutte e cinque le circoscrizioni. Si candiderebbe, dice Meloni, se la campagna elettorale non sottraesse troppo tempo alle sue attività prioritarie di capo del governo. La motivazione appare nobile, ma nasconde il fatto che, se eletta, certamente non lascerebbe Palazzo Chigi per andare a Bruxelles.
Svolto il suo compito di specchietto per le allodole, resterebbe, compiaciuta e soddisfatta, non credo particolarmente rafforzata, a governare la nazione Italia. Ma avrebbe ingannato un (in)certo numero di elettori, quelli che la vorrebbero vedere “cambiare l’Europa” e l’hanno votata per quello scopo. Già europarlamentare europea, sembra che Elly Schlein, segretaria del Partito democratico, venga spinta a candidarsi nella convinzione/speranza, difficile dire quanto fondate, dei dirigenti del Pd che anche lei porterebbe voti. Anche se potrebbe restare segretaria, per accettare l’euroelezione dovrebbe dare le dimissioni da deputata. Improbabilissimo. Quindi, anche la candidatura di Schlein rientra nella fattispecie “specchietto” ingannevole.
La notizia dell’ultima ora è duplice. Ennesima separazione dei destini fra Calenda e Renzi. Già europarlamentare, non proprio assiduo, del Pd, Calenda ha detto che non ha intenzione di eurocandidarsi. Invece, poiché l’Europa si è addormentata, parole sue, Renzi ha deciso di correre per Bruxelles dove, se la sua lista supera lo sbarramento che al momento appare fuori portata, provvederà a dare energicamente la sveglia. Lasciando di conseguenza la carica di senatore e anche quella di consulente dell’Arabia Saudita.
Il panorama non è esaustivo, ma è fin d’ora sufficiente per due considerazione. La prima è che bisognerebbe intervenire per cambiare la legge che disciplina le candidature al Parlamento europeo. Dimissioni dalle cariche di rappresentanza e governo sei mesi prima dell’euroelezione, esattamente come è previsto per i sindaci che si candidano al Parlamento nazionale. La seconda considerazione riguarda il brutto prologo alla campagna euroelettorale. Lo slogan “prima il programma poi i nomi” ha sempre qualcosa di illusorio e ipocrita. I programmi camminano sulle gambe delle donne e degli uomini. Le potenziali candidature di cui si sta discutendo in Italia sono, al momento, del tutto sganciate dai contenuti. Credo che sarebbe già tempo di indicare le priorità.
Quel che sappiamo è che Giorgia Meloni vuole cambiare la maggioranza nell’europarlamento, ma, curiosamente, senza mettere in discussione la presidente della Commissione, ramo d’ulivo consegnato ai Popolari. In verità, ancora una volta, l’obiettivo principale perseguito dai dirigenti dei partiti italiani è meglio definibile come “regolamento dei conti”. I voti ottenuti serviranno per ridefinire i rapporti di forza, soprattutto all’interno della coalizione di governo. A metà fra incomprimibile irritazione e inevitabile moralismo concludo, non che gli elettori italiani meritano di meglio, ma che hanno bisogno di molto di più e di diverso riguardo a quello che l’Italia può e deve fare in e per l’Europa, a cominciare dall’Europarlamento. Meno personalismi, meno specchietti, meno smargiassate.