Skip to main content

Un patto sociale in nome della digitalizzazione

Nella storia economica recente, l’Ict – che include sia l’informatica sia le telecomunicazioni – è stata la più grande fonte di nuova ricchezza al mondo. Ma, anche se lontani dagli eccessi della new economy, la sua importanza reale sta rapidamente aumentando. Nel 2005 c’era soltanto un’impresa Ict tra le dieci più importanti società al mondo (Financial Times), oggi sono tre e formano il raggruppamento più importante. Nel 2006 erano 76 le imprese Ict tra le prime 500 corporation al mondo, oggi sono 83.
Questo fenomeno è stato decisamente più accentuato negli Usa, ma anche in Europa ha fatto sentire i suoi effetti. L’economia di Internet nel Regno Unito ormai vale il 7,2% del Pil, più del settore sanitario. In Francia è il 3,7% del Pil e sarà il 5,5% entro il 2015, ma è responsabile del 13% della crescita e in 15 anni ha creato 700mila posti di lavoro. Adesso vale quanto l’energia, i trasporti o l’agricoltura. In Italia, invece, Internet incide appena per l´1,6% del Pil ma contribuisce alla sua crescita per il 18%.
 
Secondo il Networked readiness index del Word economic forum nel 2010 l´Italia si posiziona al 48esimo posto nel mondo in quanto a capacità di trarre profitto dall’Ict. Nel 2009 eravamo al 45simo posto. Davanti a noi non ci sono soltanto quei Paesi che sono tradizionalmente in competizione con i nostri produttori, ma siamo preceduti da Portorico, Ungheria e Thailandia, appena davanti a Costarica e Oman. Il vantaggio competitivo di una nazione e del suo sistema produttivo dipende sempre di più dalla sua capacità di sapere sfruttare a fondo i guadagni di produttività che consente l´Ict. Non resteremo ancora a lungo la settima potenza economica del mondo se non ne sapremo trarre le necessarie conseguenze. Una recente ricerca di McKinsey ha calcolato che ogni euro investito da un’azienda francese in rete (siti, posta elettronica, software) si è tradotto in due euro di margine operativo e ogni euro speso in marketing online ha generato 2,5 euro di utile, stimolando soprattutto la crescita delle Pmi. Un terzo della popolazione mondiale – ben più della parte più ricca – è già su Internet. Ma i benefici della digitalizzazione creano rendimenti crescenti: a parità di investimento, rendono di più in valore assoluto nei Paesi che sono già più digitalizzati. La conseguenza è che se non reagiamo immediatamente, il nostro ritardo diventerà presto incolmabile.
 
Già oggi diversi studi hanno puntato il dito sulla mancata diffusione dell´Ict come causa principale del recente calo della produttività italiana. Negli ultimi 10 anni la produttività del lavoro italiana è calata rispetto alla media della Ue a 27 di quasi il 20%. È tantissimo, più di quanto possiamo permetterci perché essendo una nazione mediamente molto anziana, dovremmo invece avere una produttività sempre in crescita per compensare una quota in aumento di popolazione inattiva.
Tutto ciò ci dice che definire un’agenda digitale per l’Italia è assolutamente urgente. L’agenda digitale europea potrebbe essere un punto di partenza, ma è una strategia per digitalizzare la Ue, non l’Italia. Il problema italiano è quello delle priorità e del coordinamento, coinvolgere tutti i ministri competenti e definire un percorso unitario, perché tutto e subito non si può fare. Ma per ribaltare la situazione attuale non possiamo semplicemente fare quel che hanno già fatto gli altri: così facendo, essendo già indietro, rimarremmo indietro. A mio avviso, per recuperare terreno si dovrebbero saltare le fasi intermedie (leapfrogging) e puntare direttamente a quella che oggi è la frontiera dell’innovazione in Ict: fibra ottica, cloud computing, remote working, collaboration, ecc.
 
Investire sulla frontiera non solo paga di più nella competizione internazionale, ma potrebbe permettere, come nella fibra ottica, di capitalizzare sulle competenze che già abbiamo come Paese per sviluppare nuovi mercati ancora poco presidiati. Inoltre, potrebbe innescare un circolo virtuoso di investimenti il cui punto di partenza potrebbero essere le infrastrutture e la lotta al digital divide. La diffusione della banda larga aiuta la digitalizzazione del Paese e la digitalizzazione del Paese crea domanda per la banda larga. Lo stesso governo e molte Regioni e amministrazioni locali si stanno prodigando per ridurre il digital divide, diffondere la banda larga e fare partire nuovi progetti per la banda ultralarga. Ma non si possono sviluppare le infrastrutture pensando solo alle infrastrutture. La banda larga si diffonde e porta effetti benefici se ci sono servizi – pubblici e privati – che permettono di sfruttarla. Il loro sviluppo è la vera sfida imprenditoriale del nostro secolo, una riserva immensa di innovazione ancora in minima parte esplorata. Per fare sì che questi servizi si sviluppino servirebbe però un mercato potenziale più ampio per il mercato della digitalizzazione, che non è impossibile. Sarebbe necessario avviare un’opera capillare di alfabetizzazione informatica, rimuovere il digital divide culturale, non tanto dei giovani nelle scuole, ma di imprenditori, professionisti, manager, quadri, impiegati e pensionati. Sono loro il vincolo, ma anche l’opportunità, per digitalizzare l’Italia.
 
Se si riuscisse a coinvolgerli, l’Italia potrebbe davvero fare un salto quantico verso il suo futuro. Ma per farlo nella situazione attuale, dovendo fare tanto in poco tempo e con poche risorse, occorrono sinergie inusitate tra Stato e imprese, operatori e vendor, università, no profit, centri di ricerca e tutti coloro che possono contribuire. In sintesi, servirebbe un patto sociale trasversale in nome della digitalizzazione per creare sinergie e massimizzare gli sforzi di ognuno. Se si riuscisse ad innescare questo circuito virtuoso, il digital divide legato alla connettività, quello culturale ma anche quello competitivo del sistema-Paese potrebbero presto essere un ricordo.
Comunque sia, la sfida della digitalizzazione, dare un’agenda digitale all’Italia, è un compito difficile, epocale. Proprio per questo, iniziarne anche soltanto a parlarne per quello che è – una priorità nazionale – sarebbe già un enorme passo avanti.


×

Iscriviti alla newsletter