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Vince Lai. Taiwan sceglie la continuità

Nel suo primo discorso da presidente eletto, Lai ha dato valore ai problemi della quotidianità taiwanesi e inviato messaggi chiari sulla volontà di mantenere lo status quo con Pechino

Taiwan ha scelto Lai Ching-te, candidato del Partito progressista democratico, come nuovo presidente. Attuale vice nel secondo mandato dell’amministrazione di Tsai Ing-wen, che ha governato il Paese per otto anni, Lai (anche noto come William Lai) è sempre stato favorito dai sondaggi e in testa sin dai primissimi scrutini.

I due candidati rivali — Hou Yu-ih del Partito Nazionalista Kuomintang e Ko Wen-je del Partito Popolare — hanno riconosciuto la vittoria con una mossa che conferma la solidità della democrazia taiwanese.

Le elezioni avevano attirato i riflettori internazionali perché il territorio taiwanese fa parte delle rivendicazioni ancestrali, esistenziali della Repubblica popolare cinese — che intende annettere l’isola sin dai tempi in cui vi si rifugiarono in nazionalisti sconfitti dai comunisti nella guerra civile in Cina.

E proprio al mantenimento della stabilità sullo stretto, ossia a preservare lo status quo dei rapporti Pechino-Taipei, Lai ha dedicato una delle prime dichiarazioni da presidente eletto, augurandosi — durante la sua prima conferenza stampa internazionale — che la Cina capisca che soltanto la pace “avvantaggia entrambe le sponde dello Stretto”.

Per due volte il nuovo presidente taiwanese ha parlato del suo Paese come “Repubblica cinese”, ossia Repubblica di Cina — nome con cui fu indicata da Chiang Kai-shek ai tempi della sua formazione. Definizione non certo apprezzata da Pechino, che non riconosce l’esistenza di Taiwan, tanto meno può accettare la presenza di un’altra Cina.

Per Lai potrebbe essere stato un messaggio diretto verso quel mantenimento dello status quo, da abbinare alle parole sulla pace. Un segnale che Taipei sotto la sua presidenza non si muoverà di un passo riguardo all’autonomia, ma non cercherà nemmeno quell’indipendenza che la Cina considera un atto di guerra?

A proposito di questo, primo input da Washington: gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di Taiwan, dice il presidente americano, Joe Biden, ai giornalisti mentre lasciava la Casa Bianca alla volta di Camp David. Pechino  e Washington hanno parzialmente sistemato le relazioni, anche se in forma precaria e con tanti dossier di confronto, scontro e competizione aperti. Biden in questo momento manda un segnale, dopo che la questione  Taiwan aveva infuocato i rapporti sino-americani con la visita a Taipei, nell’agosto 2022, dell’ex Speaker della Camera è rotto parte delle comunicazioni.

Messaggio che arriva anche a Lai riguardo a (in realtà mia esternate) ipotetiche ambizioni? Tuttavia, molto del suo discorso della vittoria ha ruotato attorno a questioni interne. Gran parte del tempo e stata dedicata ad affrontare le questioni che toccano i cittadini nell’immediato e ad auspicare una qualche collaborazione con i due principali partiti di opposizione. È un altro messaggio, Taipei ha una vita autonoma che va oltre al valore geo-strategico del voto.

Le elezioni riguardano problemi della quotidianità dei taiwanesi. Non che un’eventuale invasione cinese non sarebbe altrettanto, ma per Lai c’è adesso da affrontare l’impennata dei valori immobiliari che si abbina ai bassi salari dei lavoratori più giovani (questione dal profondo carattere socio-politico), per esempio.

Infine, non poteva non parlare di chip. L’industria dei semiconduttori — il cui valore per l’economia digitalizzata globale è inestimabile — è una forza strategica per Taiwan. Tra gli elementi pratici che attirano attenzione sulle elezioni e sul destino dell’isola è certamente il principale, e Lai ha confermato nel suo discorso che il governo di Taipei “aiuterà” l’industria dei semiconduttori nella ricerca e nello sviluppo (anche di nuovi materiali).

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