Skip to main content

La corsa di Elly Schlein verso lo snaturamento del Pd. Il corsivo di Cangini

Corre, non corre, correrà… Ma se anche Schlein dovesse correre, la questione di maggior interesse è, o dovrebbe essere, per andare dove? Scrive Andrea Cangini

Corre, non corre, correrà… Ampio spazio, e da giorni, viene dedicato dai giornali alla vexata quaestio dell’ipotetica candidatura di Elly Schlein alle elezioni europee di giugno. Fiumi di inchiostro, pagine su pagine. Se ne ricava l’impressione che la questione sia decisiva per il futuro dell’Italia, o quantomeno del Pd. Sicuramente più decisiva del voto sull’Ucraina espresso dal Partito democratico mercoledì scorso alla Camera di cui i giornali hanno dato conto nelle cronache di giovedì. Poi più nulla.

Scelta singolare, dal momento che con quel voto il Pd ha lacerato l’unità nazionale sulla politica estera e di difesa ed ha aperto una crepa difficilmente sanabile al proprio interno.

Astenendosi sulla risoluzione della maggioranza propedeutica al voto del decreto con cui il governo rifinanzierà le spese militari per sostenere l’indipendenza del popolo ucraino Elly Schlein ha compiuto una scelta strategica: tra la posizione filo atlantista della maggioranza e di quel che resta del Terzo Polo e la posizione filo putiniana del Movimento 5 Stelle, la segretaria del Pd ha con tutta evidenza scelto la seconda. E quando, a fine mese, si voterà sulla Palestina è ragionevole attendersi che la frattura si allargherà. Una scelta identitaria che tocca l’interesse nazionale (persino Giorgia Meloni quand’era all’opposizione votò sempre con la maggioranza sull’Ucraina) e che rivoluzione l’asse politico del Pd.

Una scelta rifiutata da tre deputati e sette senatori dem, che, coerentemente con i voti espressi in precedenza, mercoledì hanno votato a favore della risoluzione della maggioranza. Una scelta che, con evidente ribaltamento logico, il responsabile Esteri del Pd Peppe Provenzano ha derubricato da questione di principio, quale con tutta evidenza era, a bega finalizzata ad una “resa dei conti interna”. Un’interpretazione volgare, forse frutto di un transfert psicologico, essendo chiaro che a piegare le decisioni strategiche di politica estera ad una logica legata alla convenienza di parte sia stata, mercoledì, proprio la segreteria del Pd. Un partito che, inseguendo il movimentismo irresponsabile del partito guidato da Giuseppe Conte, ha modificato la propria natura, infranto il doveroso clima di unità nazionale sulla politica estera in tempo di guerra, scavato un solco non più colmabile con la propria minoranza interna e ufficializzato l’impossibilità per un’eventuale coalizione di centrosinistra di assumere responsabilità di governo.

Corre, non corre, correrà… Ma se anche Schlein dovesse correre, la questione di maggior interesse è, o dovrebbe essere, per andare dove?

×

Iscriviti alla newsletter