Il capo della diplomazia cinese dal Cairo delinea narrazioni e interessi di Pechino attorno alla destabilizzazione delle rotte indo-mediterranee e al Medio Oriente
Il membro dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese e ministro degli Esteri Wang Yi (questa è la sua definizione ufficiale) ha espresso la profonda preoccupazione della Cina per il recente e brusco inasprimento della situazione nel Mar Rosso durante un incontro congiunto con il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, dopo colloqui al Cairo.
Nel mezzo della destabilizzazione dell’Indo Mediterraneo prodotta dagli attacchi organizzati dagli Houthi contro le navi mercantili che seguono quelle rotte per spostare merci tra Europa e Asia, e mentre la Cina non si impegna a livello operativo per ristabilire equilibri e stabilità, quanto dice Wang è molto interessante. Spiega la visione cinese riguardo alla crisi, l’approccio alla sicurezza collettiva, il ruolo che vuol giocare Pechino in Medio Oriente e come muove le leve dello scontro tra potenze nella regione (anche in termini di narrazione).
Wang sottolinea che la Cina vorrebbe la fine immediata degli attacchi che stanno complicando lo scorrimento delle catene di approvvigionamento globale (notare che la situazione è delicata, per esempio nella mattinata il Qatar ha momentaneamente sospeso l’invio di Gnl tramite Suez). Ma “allo stesso tempo, crediamo che il Consiglio di Sicurezza [dell’Onu] non abbia mai autorizzato nessun paese a usare la forza contro lo Yemen”, dice Wang facendo evidente riferimento ai due bombardamenti anglo-americani dei giorni scorsi.
Messaggio diretto per accaparrarsi il consenso di critica l’azione contro gli Houthi. Azione che nelle prossime settimane non solo potrebbe ripetersi, se gli yemeniti non fermeranno gli attacchi (come presumibile). Ma potrebbe anche avere un ulteriore livello di complessità con una missione europea tra le acque indo-mediterranee del Mar Rosso e/o del Mar Arabico.
C’è una porzione di mondo che guarda a certe dinamiche con la paura dell’apertura di nuovi fronti e soprattutto temendo che da essi scaturiscano effetti inflativi. Va comunque ricordato che il fronte è già aperto dagli Houthi, e gli effetti economici si legano alla destabilizzazione della sicurezza marittima — che il gruppo yemenita dice di aver prodotto come forma di solidarietà nei confronti dei palestinesi — la quale porta le compagnie navali ad evitare quella rotta più diretta nelle connessioni eurasiatiche.
Ma spesso la Cina (come la Russia e l’Iran) usano certi argomenti come vettori anti-americani e anti-occidentali. Tant’è che Wang aggiunge: “Va sottolineato che la situazione tesa nel Mar Rosso è una ricaduta del conflitto di Gaza, ed è fondamentale che i combattimenti a Gaza cessino il prima possibile per evitare che il conflitto si diffonda o addirittura vada fuori controllo”.
Il cessate il fuoco immediato a Gaza è una delle prerogative della narrazione anti-occidentale corrente, soprattuto anti-americana. Perché se è vero che tra l’amministrazione Biden e il governo Netanyahu crescono le distanze, è anche vero che Washington ripete che Israele ha diritto di difesa e di portare avanti le operazioni contro Hamas — anche se fermando l’invasione su larga scala e passando ad azioni più mirate.
Va anche aggiunto un dato tecnico che incrocia le parole di Wang Yi. Diversi analisti esperti di Houthi, come per esempio Nadwa Dawsari del Middle East Institute, sono piuttosto persuasi che gli attacchi degli Houthi non si fermeranno. Lo aveva spiegato a Formiche.net anche Eleonora Ardemagni (Ispi/Cattolica): il gruppo si è già intestato il ruolo di rappresentante della guerra di resistenza contro l’Arabia Saudita, durante la guerra civile yemenita. Ora potrebbe farlo contro Israele e gli Usa, e questo gli potrebbe portare tornaconti anche in termini di consenso e proselitismo (e rilevanza internazionale).
E la Cina ha un po’ di interesse a lasciar scorrere le cose. Lo spiegano anche altre parole di Wang Yi, spese sempre al Cairo ma in un altro incontro di questi giorni: quello col segretario della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit. I due, secondo il racconto di Pechino, hanno avuto un approfondito scambio di opinioni sul conflitto palestinese-israeliano e hanno raggiunto il consenso su alcuni passaggi. E anche nell’incontro con Gheit c’è stato un passaggio dedicato alla destabilizzazione indo-mediterranea.
Ma in particolare, il capo della diplomazia cinese e il rappresentante arabo hanno concordano che “i Paesi [più] influenti, in particolare, dovrebbero adottare un approccio obiettivo, imparziale e costruttivo [per la de-escalation]. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (di cui val la pena ricordare che la Cina è tra i cinque membri permanenti, ndr) dovrebbe ascoltare le voci dei Paesi arabi e islamici, nonché di altri che si oppongono alla guerra in corso di Israele contro la popolazione civile di Gaza, e dovrebbe assumersi efficacemente la responsabilità di mantenere la sicurezza e la pace internazionali portando avanti iniziative vincolanti”.
Ancora: “Entrambe le parti chiedono la convocazione quanto prima di una conferenza internazionale per la pace con un’ampia partecipazione. Dovrebbe riflettere il mandato internazionale, promuovere la formulazione di una tabella di marcia vincolante, attuare la soluzione dei due Stati secondo un calendario specifico e, su tale base, promuovere la ripresa dei colloqui di pace israelo-palestinesi, in modo da realizzare la coesistenza pacifica tra i due paesi e portare sicurezza e pace a tutti i popoli della regione”.
Pechino prova a portarsi avanti sul terreno negoziale invitando al tavolo tutte le parti in causa e sfruttando la percezione diffusa di attore meno coinvolto degli Usa (o dell’Ue)?