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Servono nuovi mercati per il mercato dell’arte. Stefano Monti spiega perché

Il mercato dell’arte ha recepito così tanti e differenti stimoli negli ultimi 20 anni, che oggi qualsivoglia ipotesi di sviluppo futuro potrebbe essere possibile. È ragionevole, ad esempio, che il mercato possa tendere verso un livello sempre più esteso di concentrazione, con la conseguente affermazione di soggetti “egemoni”, sostenuti da grandi capitali privati e di investimento

A differenza di molti mercati, il mercato dell’arte, e soprattutto il mercato dell’arte contemporanea è oggi in una condizione di assoluta indeterminatezza futura.

Se negli altri settori ci sono sufficienti basi per poter ipotizzare quali delle tendenze in corso potranno con maggiore probabilità prendere il sopravvento, nel mercato dell’arte le dimensioni di aleatorietà trasformano qualsiasi ipotesi in azzardo.

Certo, tutti i mercati sono imprevedibili: da quelli tradizionali fino a quelli più innovativi. Tali mercati, tuttavia, presentano una struttura e una coerenza interna che consente di poter quantomeno identificare scenari più plausibili di altri.

In altri termini, e per prendere uno dei settori innovativi più di tendenza oggi, è impossibile stabilire se gli sviluppi dell’intelligenza artificiale più efficaci saranno quelli di ChatGPT o quelli di altri giganti della tecnologia.

Tuttavia, affermare che la tecnologia che è alla base dell’intelligenza artificiale verrà da un lato condotta da un numero molto elevato di soggetti, e che tali soggetti (che includono anche i giganti del tech) competeranno per poter raggiungere prima di tutti gli altri il prodotto di intelligenza artificiale più efficace, al fine di poter affermare tale servizio come lo “standard” di riferimento per questa tipologia di tecnologia rappresenta un’affermazione che, se non predittiva, è quantomeno ragionevole.

Così come è ragionevole immaginare che, alla base di un tale sviluppo ci sia un cospicuo numero di investitori internazionali, e che tali investitori faranno a gara per poter acquisire quante più quote possibile di quanti più soggetti possibili.

Affermazioni che risultano ragionevoli perché fondano su una caratteristica che presenta un certo grado di stabilità: la struttura del mercato ed il modello di business.

Si pensi all’evoluzione della televisione commerciale: negli anni sono cambiate le tecnologie di produzione e di trasmissione, sono cambiati i contenuti, sono cambiate le abitudini di consumo, sono cambiate persino le piattaforme attraverso cui tali contenuti vengono consumati. Eppure, il modello di business della televisione commerciale è rimasto coerente alla propria struttura originale. Ha subito evoluzioni, certo.

Ma ha mantenuto intatto il suo funzionamento base. Affermare oggi che, tra 20 anni, il modello di televisione commerciale possa subire piene rivoluzioni è irragionevole: da un lato ci sarà la produzione e la trasmissione di contenuti, dall’altro flussi di cassa in entrata che vengono equamente ridistribuiti attraverso sponsor privati (pubblicità), contributi pubblici (ove presenti) e acquisti diretti da parte degli utenti.  Sarà difficile che la TV commerciale smetta di avere delle pubblicità, anche soltanto come pungolo per spingere i telespettatori ad acquistare abbonamenti o altri servizi affini.

Il mercato dell’arte, invece, ha recepito così tanti e differenti stimoli negli ultimi 20 anni, che oggi qualsivoglia ipotesi di sviluppo futuro potrebbe essere possibile. È ragionevole, ad esempio, che il mercato possa tendere verso un livello sempre più esteso di concentrazione, con la conseguente affermazione di soggetti “egemoni”, in genere sostenuti da grandi capitali privati e di investimento (privato e istituzionale).

Ma è altrettanto ragionevole affermare che nel futuro gli operatori big avranno uno specifico posizionamento di mercato, rivolgendosi soltanto alle operazioni più importanti del mercato, e che un numero cospicuo di piccoli player possa invece entrare nel mercato distribuendo lavori a valori più modici, andando quindi ad occupare una posizione di mercato che prevede un più alto numero di transazioni, ma con prezzi medi decisamente più bassi rispetto ai cosiddetti top-lots.

È ragionevole affermare che, a fronte dei cambiamenti in corso, le gallerie d’arte avranno un ruolo sempre più importante nell’immissione di nuove opere e di nuovi artisti all’interno del mercato. È ragionevole allo stesso tempo immaginare che le gallerie d’arte tenderanno a scomparire, seguendo i trend di disintermediazione che hanno già coinvolto altri settori.

Questa incertezza è, a dire il vero, una condizione emozionante. Perché se da un lato si può immaginare questa tipologia di aleatorietà come terreno fertile per “scommettitori”, dall’altro è anche vero che il mercato possa ancora in qualche modo essere plasmato, condizionato, costruito.

Non certo nella sua interezza: alcuni meccanismi rispondono in modo estremamente efficace e coerente alle esigenze del nostro tempo e del funzionamento di base della collettività umana. Altri meccanismi però potrebbero cambiare.

Si potrebbe, ad esempio, affermare una categoria di acquirenti “entry-level”, come si è soliti dire in altre categorie merceologiche, che conti su una distribuzione capillare sul territorio, favorendone così potenziali fenomeni di diffusione del gusto e di normalizzazione del processo di acquisto.

E ciò che potrebbe risultare interessante è immaginare un’azione di questo tipo condotta da “intermediari” distinte dalle figure consolidate del mercato dell’arte. Piccole start-up che forniscano servizi di consulenza con funzioni che combinano le innovazioni della realtà aumentata e con modelli di business tipici di altri mercati.

Per favorire, ad esempio, la diffusione di opere d’arte di artisti esordienti, si potrebbero proporre dei servizi in abbonamento, mediante i quali le persone possono disporre, a rotazione di un set nel corso dell’anno solare.

O altri servizi in grado di ibridare, all’interno del mondo dell’arte, una serie di modelli che adesso regolano i mercati online. Combinando elementi digitali, creazioni di community di riferimento, facilità del modello di acquisto e bassa propensione al possesso.

Favorire, in altri termini, la nascita di nuovi mercati dell’arte, oltre a quelli esistenti, contraddistinti da altri modelli di business, da altre strutture di mercato, popolato da altre categorie di figure.

I meccanismi consolidati, come quello delle case d’aste, delle gallerie, delle fiere, sicuramente continueranno ad avere il proprio peso nel mercato dell’arte. Ma ci sono spazi di mercato enormi, considerate quante persone non acquistano arte.

Piuttosto che chiedersi se abbia ancora senso avere un critico, o quale ruolo svolgano ormai le gallerie, sarebbe forse più interessante capire quelle figure che non esistono ancora, ma che potrebbero portare la competizione su altri livelli.

In fondo, le low-cost, erano impensabili fino a che qualcuno non ci ha effettivamente pensato.



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