Non si può trattare la materia delle riforme istituzionali come tutte le altre: non è una questione solo interna alla maggioranza, va allargata all’opposizione. Influisce l’imminenza della campagna elettorale per le Europee, che sarà un grande test nazionale. Sull’autonomia potrebbe esserci un problema di costituzionalità. Conversazione con il costituzionalista Stefano Ceccanti
Le modifiche alla Costituzione sono ormai il terreno sul quale si cercano accordi e convergenze. È accaduto col passaggio in aula che ha sancito l’avvio dell’iter sull’Autonomia differenziata, storica battaglia leghista. E parallelamente sta accadendo anche sul premierato, riforma alla quale il premier Giorgia Meloni tiene particolarmente. Questo approccio a materie così delicate è “astrattamente legittimo, ma gravemente inopportuno”. Lo dice a Formiche.net Stefano Ceccanti, costituzionalista di vaglia ed ex parlamentare del Partito Democratico.
Cadono le pregiudiziali di costituzionalità sulla riforma dell’Autonomia che comincia il suo iter. Il governo (non senza qualche resistenza) trova una convergenza. Ora che tipo di scenario si profila secondo lei?
Lo scenario probabile è un’approvazione da parte del Senato prima delle europee, ma speriamo che lì ci si fermi senza ulteriori passaggi prima di quel voto. Essendo materia di istituzioni, dove è altamente preferibile procedere per consenso, non solo coi voti della maggioranza, la possibilità di una seconda lettura effettiva alla Camera di entrambi i provvedimenti in una fase non più elettorale potrebbe favorire il clima giusto per arrivare a tale consenso. Almeno su questi testi va evitato il monocameralismo di fatto.
L’accordo sull’autonomia di Calderoli presuppone che si vada avanti, politicamente, sul premierato. Non le sembra che in qualche misura la Costituzione si stia utilizzando come terreno di contrattazione politica?
L’errore politico sta all’inizio di questo percorso. Bisognava partire sin dall’inizio da bozze condivise, da un lavoro comune e non da un’iniziativa recintata alla sola maggioranza. Approccio astrattamente legittimo, ma gravemente inopportuno. Non si può trattare questa materia come una qualsiasi in cui la maggioranza applica il suo programma, le regole sono di tutti. Se poi nel percorso l’intesa si rompe per veti rigidi una maggioranza può anche decidere di procedere da sola, ma qui si è proprio partiti sin dall’inizio con la sola maggioranza. Ciò è indubbiamente dovuto all’imminenza delle europee che sono un grande test nazionale. C’è da augurarsi che, passate quelle, si possa recuperare.
I leader dei due principali partiti di opposizione decidono di scendere in piazza contro l’Autonomia. Quali sono secondo lei i limiti che permangono in questo ddl?
C’è un limite puntuale ed uno di fondo. Quello puntuale sta nell’articolo 3 che conferisce la delega per i lep con principi molto carenti o assenti perché si rinvia a principi di legge di bilancio 2023 per la cabina di regia sui Lep che però appaiono essere più regole di lavoro della cabina che principi. Quello di fondo è che questo processo così complesso non può essere in alcun modo gestito in maniera razionale senza l’esistenza di un Camera delle autonomie che dia alle Regioni un’effettiva responsabilità istituzionale nazionale. Non basta il sistema delle Conferenze. La modifica del Senato era per così dire promessa da una norma transitoria della riforma del Titolo Quinto ma poi non si è realizzata. Ne soffre tutto l’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni. Senza quel perfezionamento qualsiasi ulteriore intervento, compresa l’autonomia differenziata, non può portare frutti positivi.
L’emendamento di FdI è sufficiente a colmare i gap sul fronte dei Lep?
Pur non essendo un tecnico, credo che persista un problema nel fondare il sistema nella compartecipazione di quote dei tributi erariali. Una volta che ci si basa su quella (che hanno le Regioni a statuto speciale) diventa difficile poi fare perequazioni. Meglio un sistema non fondato su compartecipazione di tributi ma, come avviene oggi per la sanità, con fondi nazionali da dividere in seguito. Così si può dare autonomia organizzativa ma con la certezza che la torta delle risorse sia decisa al centro sulla base di principi di eguaglianza.
È possibile che all’orizzonte si possa profilare un problema oltre che politico anche giuridico sia sul premierato che sull’Autonomia?
Sull’Autonomia credo che quel tipo di delega dell’articolo 3 ponga effettivamente dei problemi di costituzionalità perché è sostanzialmente in bianco. Sul premierato credo che ove venissero approvati gli emendamenti che eliminano le distorsioni più abnormi e irragionevoli a partire dal premio senza soglia e dalla figura anomala di un secondo premier non eletto che avrebbe più poteri del primo eletto direttamente e che introducono il tetto ai mandati, il dibattito potrebbe diventare più sereno e favorire ulteriori convergenze. Anche perché l’evocazione di principi supremi rispetto ai quali si possa dichiarare incostituzionale una legge di revisione costituzionale che è astrattamente possibile non è poi concretamente tanto agevole ad applicarsi da parte della Corte costituzionale specie se dovesse pronunciarsi dopo un referendum approvato dal corpo elettorale.