Nelle prime tre settimane dell’anno gli investitori hanno portato via altri 4,6 miliardi di dollari, dopo aver quasi praticamente azzerato la loro esposizione con Pechino a ridosso del Natale. E lo stesso vale per le imprese
Nei giorni scorsi il mondo ha nuovamente preso atto delle enormi difficoltà della Cina di gettarsi alle spalle anni di crescita anemica. Il Pil, nel 2023, è cresciuto del 5,3%, valore ai minimi da tre decenni a questa parte. Tutto ha, naturalmente, un prezzo. Secondo il ministero del Commercio di Pechino, nel corso del 2023 gli investimenti diretti esteri in Cina sono diminuiti dell’8% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un valore di 1.130 miliardi di yuan (equivalenti a 146 miliardi di euro).
Tuttavia, questa cifra rappresenta un miglioramento rispetto alla diminuzione del 10% registrata nei primi undici mesi dell’anno. Nonostante la diminuzione degli investimenti diretti esteri, il numero di nuove aziende con investimenti esteri in Cina è aumentato del 39,7% nel 2023, raggiungendo un totale di 53.766 unità. Ma non sono solo gli investitori a tenersi al largo dalla Cina. Anche sul mercato obbligazionario e azionario si respira una certa paura.
Tanto per cominciare, i fondi esteri alla fine del 2023 hanno venduto circa il 90% dei 33 miliardi di dollari di azioni cinesi acquistati all’inizio dell’anno, disimpegnandosi praticamente da tutto il capitale. Un trend che è continuato anche nei primi mesi dell’anno, con i deflussi più che raddoppiati dopo che Pechino ha confermato che la crescita annuale della Cina è stata la più lenta degli ultimi decenni e ha rivelato che il declino della popolazione del Paese ha subito un’accelerazione nel 2023.
Quasi 33 miliardi di renminbi (4,6 miliardi di dollari) di denaro straniero sono già defluiti dal mercato azionario cinese quest’anno, secondo i calcoli del Financial Times basati sui dati del sistema di trading Stock Connect di Hong Kong. Ora, a meno che non vi sia una brusca inversione di tendenza, gli investitori offshore sono destinati a trasformarsi in venditori all’ingrosso di azioni cinesi.
D’altronde, nelle ore in cui il Wall street journal accusa la Cina di aver isolato il Covid due settimane prima di annunciare al mondo la diffusione del virus, il Dragone rivive i suoi peggiori incubi. Scarsa crescita, crisi demografica, export in ritirata, scarsa fiducia dei mercati e l’immancabile crisi del mattone, dunque anche bancaria. Ce ne è abbastanza per guardare nello specchietto retrovisore e aspettarsi da un momento all’altro il sorpasso dell’India, già avanti Pechino sul fronte delle nuove nascite e della crescita e persino della Borsa. E per mettere in fuga gli ultimi investitori rimasti.