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Tra immigrazione e petrolio torna in agenda il dossier Libia

Mentre riaprono le attività nel più grande campo petrolifero del Paese, colpito dalle solite intemperie interne, Ankara e Roma discutono di come stabilizzare la Libia (pensando anche al dossier migratorio). Il destino dello stato nordafricano torna sull’agenda degli affari internazionali

Il capo del Consiglio presidenziale libico, Mohammed Menfi, ha discusso sabato scorso con il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, gli sviluppi del processo politico in Libia. Processo che non procede, bloccato da anni nel pantano delle divisioni interne che stanno producendo effetti su una serie di dossier di caratura internazionale, come l’immigrazione e la sicurezza energetica.

Faccia a faccia dai Non-Allineati

L’incontro tra Menfi e Guterres ha avuto luogo a margine del 19° Vertice dei Capi di Stato e di governo del Movimento dei Non-Allineati nella capitale ugandese, Kampala (il movimento raccoglie un gruppo di 120 Stati, più altri 17 osservatori, che si considerano non allineati con, o contro, le principali potenze mondiali, ma che subiscono in vario modo il fascino delle potenze revisioniste come Cina, Russia o Iran). E anche questo è un elemento a contorno, perché le controversie libiche sono state usate già in passato nel quadro della competizione tra potenze.

Menfi ha discusso con Guterres il ruolo del Consiglio presidenziale nel sostenere un dialogo politico globale tra le parti libiche e nel guidare il processo di riconciliazione nazionale, dicono le fonti da Tripoli ripetendo un mantra che va avanti da anni. Ma non a caso, nell’incontro, spiegano le stesse fonti, ha trovato spazio anche una discussione sugli ultimi sviluppi regionali e internazionali, in particolare sulla “continua aggressione contro la Striscia di Gaza e la Cisgiordania”. Menfi ha ringraziato il leader onusiano per le sue posizioni nei confronti della crisi umanitaria a Gaza e per i suoi continui appelli per un immediato cessate il fuoco.

Petrolio e sicurezza 

La discussione sul contesto regionale, che tocca la Libia anche perché in passato è stata già sfogatoio per altre controversie mediorientali (come le divisioni intra-sunnismo, che avevano fatto schierare i Paesi del Golfo sui due lati della guerra civile libica), arrivano mentre altri due dossier a riflesso internazionale gravano sul Paese. Il primo di questi è la sicurezza energetica. Quando il 3 gennaio il più grande giacimento petrolifero libico, lo Sharara Oil Field, è stato messo offline, la valutazione di molti degli osservatori era che l’interruzione sarebbe probabilmente durata non più di due settimane. Si trattava di una vicenda interna, braccio di ferro attorno al settore chiave del Paese, dove il potere politico ed economico si fondono. Tuttavia è stato uno scombussolamento al mercato internazionale – e, dice una fonte del mondo energetico, “non è possibile che dopo oltre dieci anni si sia ancora vittime delle intemperie interne alla Libia”.

Ieri, la National Oil Corporation, la società petrolifera statale, ha dichiarato (con uno statement conciso) di aver revocato la “causa di forza maggiore” al giacimento petrolifero nel sud del Paese, che ha ripreso la piena produzione. Non ha fornito ulteriori dettagli. La forza maggiore è una manovra legale che libera una società dai suoi obblighi contrattuali a causa di circostanze straordinarie. Il gruppo Fezzan Collective — che aveva imposto il blocco per ragioni di sicurezza — ha annunciato la sospensione del sit-in davanti al giacimento a partire da domenica con una dichiarazione pubblica in cui afferma di aver deciso di sospendere l’azione dopo aver raggiunto “un accordo con il capo della National Oil Corporation, che si è impegnato ad attuare le nostre richieste, con le assicurazioni del Comando generale delle Forze armate guidato dal maresciallo Khalifa Haftar”.

Immigrazione, stabilizzazione…

Haftar, capo miliziano della Cirenaica che ha già tenuto sotto scacco la Libia in passato con operazioni anche militari contro le iniziative di stabilizzazione onusiane, passa da facilitatore. Attore ibrido, legato anche al sostegno russo (unità della Wagner sono da anni acquartierate nelle sue basi), il “maresciallo di campo”, come ama farsi chiamare, vuole un ruolo nel futuro di un Paese che è bloccato da una divisione territoriale.

Ancora come da oltre un decennio (dopo la caduta del rais Gheddafi) la porzione orientale è governata in modo indipendente, con un esecutivo non riconosciuto a livello internazionale che sfrutta il potere militare haftariano e quello del Parlamento auto-esiliato nella città di Tobruk nel 2014. A Ovest invece, la Tripolitania resta (sebbene non senza divisioni interne) sotto l’amministrazione del Governo di unità nazionale onusiano, che ha fallito il suo mandato da oltre due anni (doveva portare il Paese a regolari elezioni), ma resta incarnito sul potere.

È in questo quadro che si inserisce un altro dossier internazionale che riguarda la Libia e tocca profondamente l’Europa: il controllo delle rotte migratorie. Come con il petrolio controllando più o meno direttamente i campi-pozzo, Haftar ha messo piede da tempo anche nel business migratorio. Le partenze dai porti della Cirenaica sono infatti sensibilmente aumentate negli ultimi anni, segnando una nuova via per raggiungere le sponde europee attraverso il Mediterraneo.

… e l’interesse nazionale dell’Italia

Da qui: nei giorni scorsi, la Libia è stata tra i temi prioritari nella conversazione tra Giorgia Meloni e Recep Tayyp Erdogan. A Istanbul, la presidente del Consiglio ha parlato con il capo di Stato turco di iniziative comuni per la stabilizzazione del Paese (in ottica di lunga gittata) e per il controllo dei traffici (tema tattico, a più breve visione, che interessa particolarmente il governo italiano, essendo una bandiera elettorale sulla quale dovrà misurare parte del consenso che arriverà dalle Europee, a loro volta banco di prova per gli equilibri e l’efficacia dell’esecutivo).

Secondo le valutazioni di Palazzo Chigi, mentre gli arrivi dalla Tunisia sono in diminuzione negli ultimi mesi, quelli dalle coste libiche sono in ripresa. Questo preoccupa Meloni, poiché nel suo primo anno di governo gli sbarchi sono aumentati del 49,47%. È per questo che per affrontare la situazione Roma sta cercando anche assistenza da Ankara. Il recente incontro serve anche ad accelera un accordo previsto tra Italia e Turchia, coinvolgendo le autorità della Tripolitania e mirando a essere siglato entro l’estate (quando gli sbarchi aumenteranno per via del nel tempo), e tenendo come obiettivo a medio termine di pacificare la Libia attraverso elezioni libere.

La Farnesina è già al lavoro, e sebbene non ci sia ancora un testo definitivo, l’Italia potrebbe contribuire con (nuovi) mezzi e (nuova) formazione alla Guardia costiera libica. Contemporaneamente un futuro governo a Tripoli, potenzialmente anche un nuovo sistema ad interim la cui costituzione potrebbe essere guidata dal corpo istituzionale di Menfi (vista la sostanziale delegittimazione dell’attuale esecutivo di Tripoli), dovrebbe acquietare le anime interne e rendere più stabile e unito il Paese. Dunque rendere più efficace l’attività in dossier complessi come immigrazione e sicurezza energetica.



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