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Spagna, no mas fiesta

Il Partito popolare ha vinto le elezioni generali spagnole ampiamente, con la maggioranza assoluta. Sono molte le ragioni che spiegano il perché di questa vittoria. La prima è che nell’Europa di oggi si è diffuso il “voto di sanzione”: il votare non per qualcuno (per esempio, l’opposizione) ma contro qualcuno (il governo di turno). La seconda ragione è che, oltre al movimento del 15M spagnolo, il peso degli “indignados” è reale: alla cifra degli “indignati” militanti, quelli che si sono autonominati così il 15 maggio, bisogna aggiungere un’altra massa di scontenti, anche loro indignati; i primi votano contro il potere di turno astenendosi o comunque dando il voto alla sinistra, ma i secondi votano chiaramente contro il governo socialista.
 
E qual è il futuro politico dopo queste elezioni? Gli spagnoli sono consapevoli della gravità della situazione economica, anche di quella finanziaria e della depressione crescente nel panorama sociale. È tanto più destinata a crescere quanto più la Spagna, nell’Unione europea, verrà percepita come un Paese-vagone, non locomotrice. Madrid dovrà sottomettersi alle diretrici della Commissione europea, con piani di rigore sempre più sistematici. Forse condurrà ad un qualche recupero economico, più probabilmente creerà maggiore dissocupazione.
 
Tuttavia, da ora in poi inizierà un periodo di tre o quattro mesi di “Stato di grazia” per il governo del Partito popolare, nell’attesa che il nuovo esecutivo adotti i primi provvedimenti in grado di invertire la situazione. In questi mesi i partiti politici di opposizione, i sindacati, gli imprenditori e le forze sociali staranno attenti, aspetteranno. Ma sarà così fino al mese di aprile. Se per quel momento non ci sarà nessun indizio di miglioramento economico, se il Paese sarà governato da Bruxelles, se la disoccupazione crescerà, la gente tornerà in piazza. Allora inizierà la fine del regno di Mariano Rajoy, che alcuni chiamano “il breve”. L’appuntamento è, quindi, a primavera. A meno che la Banca centrale europea e Bruxelles prevedano di virare la loro politica di 180 gradi.
 
Traduzione di Rossana Miranda


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