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Il Medio Oriente non fiacca (ancora) l’economia. L’outlook dell’Fmi

Nell’aggiornamento che porta in dote gli effetti della guerra tra Israele e Hamas, Washington sancisce la tenuta dell’Italia e la crisi della Germania. La Russia sorprende nonostante le sanzioni, mentre la crescita cinese si conferma lontana anni luce dagli obiettivi del partito

C’era attesa per il primo World economic outlook pubblicato all’indomani dello scoppio della guerra in Medio Oriente e dell’innesco della crisi nel Mar Rosso (quello di ottobre fu diffuso il 10, troppo presto per calcolare l’impatto del conflitto). Con le politiche monetarie ancora in fase restrittiva, era facile aspettarsi sfaceli. E invece no, non è andata poi così male.

L’ITALIA RESISTE, LA GERMANIA NO

Il Fondo monetario internazionale ha infatti confermato la previsione di crescita economica dell’Italia su quest’anno al più 0,7% in termini di Pil, mentre ha ritoccato al rialzo di un decimale di punto percentuale la stima di espansione sul 2025 al più 1,1%. In generale per l’economia globale l’Fmi ha ritoccato al rialzo di 2 decimali di punto, rispetto alle stime di tre mesi fa (ottobre 2023), l’attesa di crescita su quest’anno, ora al più 3,1% quest’anno, mentre sul 2025 la previsione è stata confermata al più 3,2%. Insomma, l’economia del Pianeta sembra resistere agli urti degli shock.

Ma attenzione alle dovute eccezioni. Per l’eurozona Washington ha per esempio effettuato una generale revisione al ribasso delle aspettative, tanto che ora indica una crescita 2024 allo 0,9% e sul 2025 un più 1,7%, rispettivamente 0,3 e 0,1 punti percentuali in meno rispetto alle previsioni di tre mesi fa. Ma il taglio più energico riguarda la Germania: l’organismo guidato da Kristalina Georgieva ha rivisto al ribasso di 0,4 punti percentuali sia la previsione di crescita di quest’anno, allo 0,5%, che peraltro segue una recessione dello 0,3% nel 2023, sia sul 2025 al più 1,6%. Per la Francia il Fondo monetario prevede invece un +1% del Pil quest’anno e più 1,7% il prossimo, rispettivamente 0,3 e 0,1 punti percentuali in meno rispetto a tre mesi fa.

IL CASO RUSSIA

Poi c’è il resto del mondo. Ovvero, Cina, Russia e Stati Uniti. Qui il Fondo monetario ha rivisto al rialzo le stime di crescita per gli Stati Uniti dove il Pil crescerà quest’anno del 2,1%, ovvero 0,6% in più rispetto alle previsioni precedenti, per poi rallentare al più 1,7% nel 2025 (meno 0,1 punti percentuali). L’Fmi ha ritoccato al rialzo anche le stime di crescita dell’economia cinese per il 2024. Dopo il più 5,2% del 2023, la Cina crescerà quest’anno del 4,6%, ovvero 0,4 punti percentuali in più rispetto alle stime precedenti, ma ben al di sotto degli obiettivi del partito, fissati al 5%. Per il 2025 la crescita è confermata al 4,1%, sempre su valori ai minimi da 30 anni.

Ma ecco quello che appare un caso: il Pil russo è atteso crescere quest’anno del più 2,6%, ovvero 1,5 punti percentuali in più rispetto alle previsioni precedenti. Nel 2025 la crescita dovrebbe attestarsi al più 1,1% (+0,1 punti). La revisione per la Russia nel 2024 riflette la crescita più forte delle attese nel 2023 con le spese militari e i consumi privati. E questo nonostante un’economia pressoché totalmente sotto embargo o sanzioni.

UN MONITO ALLA BCE

C’è poi chi non può più nascondersi dietro a un dito. Magari quella Bce che sta comprando tempo nel tagliare i tassi. Per Washington non c’è tempo da perdere. Il capo economista del Fondo monetario internazionale vede in tal senso una possibile divergenza di strategia sulla politica monetaria da adottare tra la Federal reserve statunitense e la Banca centrale europea: mentre la prima deve prestare maggiore attenzione ai rischi di ripresa inflazionistica, la Bce deve piuttosto focalizzarsi sul pericolo di danneggiare troppo l’economia e di strafare in termini di calo del caro vita.

Pierre-Olivier Gourinchas rileva che la fase finale di normalizzazione dell’inflazione richiede ora una attenta calibrazione della politica monetaria, che entrambe le banche centrali hanno energicamente inasprito nei mesi passati. “Le incertezze persistono e le banche centrali ora fronteggiano rischi su due fronti. Devono evitare un allentamento prematuro che minerebbe la credibilità che hanno faticosamente ripristinato e porterebbe a un rimbalzo dell’inflazione. Ma i segnali di affanno nei settori sensibili tassi di interesse stanno aumentando come sulle costruzioni e sull’attività di erogazione di prestiti che è calata marcatamente”.



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