I cattolici sono sempre più in difficoltà con la linea della segreteria del Partito Democratico. La leader dem, che rincorre Conte, non riesce a garantire il pluralismo e questo rappresenta un grosso limite. Dopo le Europee, non avrà vita lunga. Conversazione con il politologo Damiano Palano
Dopo Beppe Fioroni, l’ex Dc Pierluigi Castagnetti ha dato voce a un malcontento diffuso nel Partito Democratico. La componente cattolica è evidentemente in difficoltà con la nuova linea impressa da Elly Schlein. E d’altra parte “il partito ha perso la sua vocazione pluralista, non essendo in continuità ne con il vecchio Pci, ne tanto meno con la cultura politica ‘bianca’ della sinistra democristiana”. A dirlo nella sua intervista a Formiche.net è Damiano Palano, politologo e direttore del dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Se non c’è continuità con la politica “bianca” né con il Pci, cosa sta diventando il Pd a traino schleiniano?
Le dinamiche che hanno portato all’elezione di Schlein sono state caratterizzate da una discontinuità assoluta con le culture politiche precedenti. La segretaria connota il suo mandato con posizioni radicali, alcune tipiche del repertorio di sinistra, ma di una sinistra più ispirata al modello liberal americano.
Dunque l’antica vocazione del partito, immaginata da Valter Veltroni, è definitivamente tramontata?
L’originaria vocazione maggioritaria direi che è tramontata immediatamente dopo la segreteria di Veltroni. Già con Bersani la direzione assunta era molto diversa. Poi, sono stati gli elettori a decidere che il Pd non è maggioritario.
Torniamo ai disagi dei cattolici. Mancando una formazione centrista in senso stretto, dove si collocano politicamente?
Ribadisco che era scontato che il Pd di Schelin non riuscisse a contemperare le istanze del mondo cattolico. Il problema si pone più che altro per i cattolici di centrosinistra che non trovano una rispondenza politica, venendo peraltro a mancare non solo il Terzo Polo – che comunque sarebbe stato una risposta parziale – ma sfumando anche qualsivoglia ipotesi di una soluzione centrista sul modello Margherita. I cattolici più vicini al centrodestra, invece, hanno oggettivamente più margine di scelta.
Che contraccolpi potranno avere queste schermaglie, a maggior ragione in vista delle Europee?
Penso che dopo le Europee la vita politica di Schlein alla guida del partito sarà comunque molto difficile. I fronti che continuano ad aprirsi non fanno altro che indebolire ulteriormente la leadership. Quando arriverà il redde rationem, verranno a galla tutti i nodi. E quello dei cattolici sarà uno di questi.
A proposito di frizioni interne, anche sulla politica estera Schlein ha diversi problemi con una parte – quella più riformista – del partito. E gli esempi si sono visti anche durante le votazioni su alcuni documenti relativi al conflitto in Ucraina e alle discussioni sul Medio Oriente.
La linea di ambiguità in politica estera, sotto certi aspetti, è il problema principale del Partito Democratico in questo momento. Ed è un segno di forte debolezza. Sia sull’Ucraina che sul Medio Oriente si stanno consumando delle fratture interne al partito molto profonde. Questo dà l’idea, sia all’opinione pubblica interna che ai player internazionali, di un partito di scarsa credibilità. In più, c’è una questione se vogliamo più “storica”.
Che cosa intende dire?
La rappresentazione che Schlein sta dando del partito, sulla politica estera ma non solo, è totalmente diversa dalla storia del partito negli ultimi quindici anni. Non solo. È diversa dalla storia di molti esponenti del ceto parlamentare dem. Insomma, una grande contraddizione.
E la rincorsa al Movimento 5 Stelle probabilmente non aiuta.
No, non aiuta ma i due partiti hanno bisogno l’uno dell’altro se l’ambizione è quella di costruire una reale alternativa di governo. Dal punto di vista dei programmi, quello di Schlein e quello di Conte per certi aspetti hanno presentato diverse convergenze. Ma il rischio che corre la segretaria è che il pentastellato la scavalchi. A sinistra.