Domenico Quirico è libero e dopo cinque mesi di prigionia è tornato a riabbracciare i propri familiari e a riprendere il suo lavoro.
Il giornalista della Stampa è stato sequestrato in Siria il 6 aprile scorso assieme al professore belga Pierre Piccinin – considerato il vero obiettivo dei rapitori – una volta entrato nel Paese attraverso il confine con il Libano.
Da quel momento è iniziata la sua odissea. Quirico e Piccinin sono passati di mano in mano dai militari dell’Esercito Siriano Libero, ai predoni della brigata di insorti siriani “Abu Ammar” per terminare i vertici di comando della “Brigata Al Faruk“, di cui la “Abu Ammar” è una delle articolazioni.
Dopo mesi di ricerche, il 9 settembre la svolta. Grazie allo sforzo congiunto degli uomini dell’Aise, il nostro Servizio estero, e gli agenti del Milli Istibarat Teskilati, i Servizi segreti Turchi, i due sono stati liberati e rilasciati non lontano da uno dei valichi della frontiera turca.
Ma quali sono i dettagli del lavoro di mediazione che ha consentito agli ostaggi di tornare alla propria vita? Ecco le ipotesi di Corriere della Sera, Repubblica e Messaggero, che raccontano in modo differente quale riscatto ci sarebbe dietro la libertà di Quirico e Piccinin.
LA VERSIONE DEL CORRIERE
Secondo il quotidiano di via Solferino, in un pezzo a firma di Fiorenza Sarzanini, la nota del governo belga che ringrazia l’Italia “per l’eccellente collaborazione” e precisa di aver “rifiutato di prendere parte a ogni forma di negoziato riguardante un eventuale pagamento di riscatto”, in realtà non deve ingannare. Perché è possibile che soldi siano stati versati, però non sembra essere stato questo l’elemento chiave per risolvere il caso.
I gruppi di ribelli collegati al movimento “Al Faruk” sono spesso ex carcerati e si vendono per qualche milione di lire siriane, cioè tra i 10.000 e i 20.000 dollari. Ma in questo caso, sottolinea il Corriere, al centro della trattativa – condotta dall’ala politica del movimento – ci sarebbe stata una richiesta di appoggio nella battaglia contro il regime. L’intelligence avrebbe così assicurato l’ottenimento di numerosi aiuti, per la maggior parte umanitari, che potessero sostenere la lotta di resistenza, in cambio di collaborazione.
L’IPOTESI DI REPUBBLICA
La versione offerta dal giornale diretto da Ezio Mauro, citando “qualificate fonti dell’intelligence italiana” sostiene che la trattativa e la persuasione per riportare in Italia Quirico non si sarebbero vestite del colore dei soldi (fonti di governo hanno categoricamente escluso il pagamento di qualsiasi riscatto), ma al contrario sarebbero figlie – si legge nel pezzo firmato da Carlo Bonini – del “ruolo di interlocutore strategico e umanitario” che, in questi mesi, l’Italia ha silenziosamente costruito con una parte almeno della complicata galassia politico-militare degli insorti siriani.
Un obiettivo a cui, nella fase finale, hanno contribuito anche i Servizi segreti della Turchia, Paese che della Brigata Al Faruk è finanziatore.
LE INDISCREZIONI DEL MESSAGGERO
Il Messaggero, invece, in un retroscena di Valentina Errante spiega che a parlare è la nota del governo belga, che ringrazia e precisa di non avere preso parte ad alcuna forma di negoziato o trattativa per la liberazione di Pierre Piccinin. L’Italia, è sottinteso, invece, ha pagato. Un pugno di dollari sembra. Una somma simbolica, che potrebbe superare di poco i due milioni di lire siriane, circa 40mila dollari. Ma la posta per la liberazione di Domenico Quirico riguarderebbe invece, per il quotidiano diretto da Virman Cusenza, gli aiuti umanitari, ricevuti e garantiti dal governo italiano.
Domenico Quirico libero dopo 5 mesi “rivoluzione siriana mi ha tradito” (fonte video: Euronews)