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Ora il governo ha un alleato prezioso, i mercati. Report Omfif

Secondo il think tank delle istituzioni monetarie nell’ultimo anno gli investitori hanno dato prova di fiducia verso l’Italia e le sue finanze, continuando a sottoscrivere i titoli del Tesoro. Il costo del debito è dunque sceso, compensando la fiammata dei tassi. E così ora Giorgetti e Meloni possono stare un po’ più tranquilli per la prossima manovra

Giorgia Meloni lo aveva fatto capire nel corso della due volte rimandata conferenza stampa di fine anno, poi slittata ai primi di gennaio. I soldi da mettere nella prossima manovra andranno trovati senza aumentare le tasse. Dunque, bisognerà lavorare di gomito per ridurre il costo del debito, nell’attesa che, Mar Rosso permettendo, la Bce confermi il suo orientamento, cominciando a tagliare i tassi nel corso della prossima estate. Ma c’è un altro aspetto da considerare. Nei prossimi mesi il parlamento ratificherà con ogni probabilità l’accordo politico raggiunto prima di Natale sul nuovo Patto di stabilità. Il quale, è bene ricordarlo, una volta messo a terra imporrà all’Italia di intraprendere una traiettoria discendente del debito, per i prossimi tre anni almeno.

Va da sé, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, lo ha ripetuto fino alla noi nelle scorse settimane, che il contributo dei mercati sarà essenziale per l’Italia. Titoli venduti a prezzi ragionevoli vuol dire una minor spesa per interessi per l’Italia, dunque risparmi da girare sulla finanziaria, e soprattutto maggiore possibilità di piazzare tutti i 400-450 miliardi di titoli che il Tesoro deve necessariamente collocare nel corso del 2024, per finanziare la spesa pubblica.

Le premesse ci sono, come fa chiaramente intendere un report dell’ Official Monetary and Financial Institutions Forum, il think tank delle istituzioni monetarie, come le banche centrali, visionato da Formiche.net. Il messaggio sotteso è questo: da un anno a questa parte, più o meno da quando il governo Meloni ha cominciato a carburare, i rendimenti sui titoli decennali italiani, che sono il grosso del debito piazzato sui mercati, è diminuito e con esso lo spread tra Btp e Bund (oggi a 157 punti base, con rendimenti al 3,76% sul titolo a dieci anni).

“La performance dei titoli di stato italiani nell’ultimo anno è stata a dir poco notevole”, è l’incipit del documento. “Il bond decennale italiano è sceso dal massimo del 4,9% nel 2023 al 3,8%, mentre lo spread Btp-Bund si è contratto da 200 punti base a 155. Gran parte di questo rally è avvenuto verso la fine del 2023, quando l’Italia ha evitato il downgrade da parte di Moody’s“. Dunque, “tra i gestori di portafogli del debito pubblico italiano (gli investitori, ndr), c’è fiducia nella strategia economica e fiscale guidata dall’insediamento del primo ministro italiano Giorgia Meloni. Il governo è succeduto a quello di Mario Draghi nell’ottobre 2022 in seguito al crollo dell’esecutivo di unità nazionale guidato dall’ex presidente della Bce. La crisi politica che ne è seguita ha portato Moody’s a declassare l’outlook dell’Italia a negativo, lasciando il suo rating Baa3 sull’orlo dello status di spazzatura”.

“Tuttavia, la resilienza economica dell’Italia nel 2023 ha portato Moody’s a ripristinare il suo outlook stabile e a lasciare l’Italia in investment grade, consentendo ai Btp di tirare un sospiro di sollievo. La decisione si riflette in una stabilizzazione delle prospettive per la forza economica del Paese, la salute del settore bancario e la dinamica del debito pubblico”, si legge. Ma non è tutto. “La fiducia nell’Italia è stata confermata dal grande volume di ordini complessivo di oltre 150 miliardi di euro in due tranche comprendenti un nuovo Btp a sette anni: una domanda impressionante”. Senza considerare che, ma questi sono dati della Fabi, la federazione dei bancari, i Bot e i Btp posseduti dalle famiglie italiane sono raddoppiati e così la quantità di debito pubblico che nel Bel Paese è in mano ai piccoli risparmiatori. Tanto che negli ultimi due anni la quota posseduta dai risparmiatori retail è più che raddoppiata. La sostanza, però, è la stessa.

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