Le odierne tensioni economiche e sociali sono destinate a crescere. Sopravviveranno solo quei governi capaci di anticipare i tempi con politiche economiche ed industriali tanto nette quanto nuove, governi così compatti da riuscire ad assorbire il dissenso sociale che sempre accompagna le fasi di cambiamento epocale. Non sembra questo il caso del governo in carica. Il corsivo di Andrea Cangini
La crescita economica cala, il debito pubblico cresce, il malessere sociale prende corpo. E dal prossimo anno i vincoli di bilancio europei ricominceranno a comprimere i margini “politici” delle leggi finanziarie. La domanda, dunque, è: quanto potrà durare il pierinismo di Matteo Salvini prima di ripercuotersi sulla tenuta del governo Meloni?
La questione è seria. La storia politica degli ultimi trent’anni insegna che una coalizione di governo può tollerare i frequenti smarcamenti demagogici di uno dei propri partner solo quando le cose vanno particolarmente bene non tanto nei sondaggi quanto nella realtà. Quando, cioè, l’economia tira e il mercato del lavoro è stabile. Non sono questi i tempi che viviamo. E non solo a causa della recessione tedesca e delle sue inevitabili ripercussioni sulle economie dei Paesi europei. Il punto è che il mondo sta cambiando e sta cambiando velocemente. Il digitale e l’intelligenza artificiale hanno appena iniziato a rivoluzionare le professioni e il mondo del lavoro, mentre i governi non hanno più le risorse necessarie per sovvenzionare i comparti economici messi in sofferenza dai cambiamenti globali in corso tutelandone di conseguenza i posti di lavoro (vedo il caso Stellantis) e faticano a difendere le oasi di privilegio dall’apertura dei mercati imposta dalla realtà oltre che dalla Commissione europea (vedi i casi dei balneari e dei tassisti).
Certo, si possono stringere accordi di potere con i rappresentanti delle categorie produttive, ma non c’è più alcuna garanzia che i lavoratori ne rispettino gli impegni. In un mondo che cambia, ad entrare in crisi per prime sono le rappresentanze, politiche o professionali che siano. Lo vediamo in questi giorni con gli agricoltori. Il rapporto tra la Coldiretti, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida è strettissimo. Ma Coldiretti ha perso la presa d’un tempo sui propri iscritti, che ne rifiutano l’autorità dirigendo, metaforicamente e fisicamente, i propri trattori verso Roma. È solo questione di tempo, di giorni, forse di ore, ma c’è da credere che a breve vedremo Matteo Salvini arringare la folla dei piccoli agricoltori dal predellino di un mezzo agricolo così come in passato fece con i tassisti che circondavano il Senato. Anche allora Salvini era al governo, ma a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi e la situazione economica e sociale era stabile. Le odierne tensioni economiche e sociali sono invece destinate a crescere. Sopravviveranno solo quei governi capaci di anticipare i tempi con politiche economiche ed industriali tanto nette quanto nuove, governi così compatti da riuscire ad assorbire il dissenso sociale che sempre accompagna le fasi di cambiamento epocale. Non sembra questo il caso del governo in carica. Perciò, si torna fatalmente alla domanda iniziale: quanto potrà durare il pierinismo di Matteo Salvini prima di ripercuotersi sulla tenuta del governo Meloni?