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Gli errori socialdemocratici

La crisi del debito pubblico esplosa in Grecia è un ottimo punto di partenza per esaminare le conseguenze potenzialmente drammatiche, per il futuro di ogni democrazia, della spesa pubblica incontrollata. Ciò che è avvenuto in Grecia, sta già cominciando a manifestarsi in molte delle democrazie più forti e sviluppate. La mia idea è che l’egemonia keynesiana, sia nell’immediato dopoguerra che oggi, abbia causato l’abbandono di criteri razionali di gestione delle finanze pubbliche nelle democrazie sviluppate, con il ritorno di un modello di intervento datato e anacronistico, presentato come la politica economica più adatta a gestire efficacemente la crisi finanziaria globale.
 
Questi malaugurati sviluppi in occidente spinsero il grande filosofo liberista e premio Nobel dell’economia Hayek a scrivere il suo La via della schiavitù, che analizzava e metteva in luce come le ideologie socialdemocratiche e conservatrici-paternalistiche potessero rappresentare il cavallo di Troia per toglierci libertà e aprire le porte al dominio incontrastato di statalismo e burocrazia. D’altra parte il premio Nobel liberista James Buchanan avvertì nel suo famoso e profetico Democrazie in deficit del 1977 che i deficit keynesiani non rappresentano soltanto un’inefficace politica sul lungo periodo, ma anche la chiave ideologica per minacciare l’integrità del supremo contratto sociale, la Costituzione, e in ultima analisi l’autosufficienza, l’autonomia e l’indipendenza della Repubblica.
 
Se a questi due contributi aggiungiamo quelli di altri grandi sostenitori del libero mercato nel XX secolo (Milton Friedman, Ronald Coase, Gary Becker, George Stigler, Douglass North, Vernon Smith), tutti premi Nobel – ma anche quelli di altri liberisti operanti al di fuori della branca economica, possiamo concludere senza tema di smentite che sono soltanto i partigiani del libero mercato ad aver evidenziato, nel modo più inequivocabile, che una democrazia dinamica e stabile è fondata su uno Stato limitato e frugale, che invece di farsi divorare da deficit e debiti pubblici stellari, sia moralmente obbligato a difendere e sostenere i diritti individuali, e ad ampliare le libertà dei singoli e le istituzioni autodisciplinate fondate da liberi individui: il mercato, i meccanismi di prezzo, la competizione, i diritti di proprietà, i contratti e gli accordi, lo Stato di diritto e quelle eterne e perenni convenzioni morali e usi che nel corso lungo della storia hanno incarnato le virtù della cooperazione e della convivenza sociale.
 
I grandi teorici del libero mercato del XX secolo invertirono il trend storico socialdemocratico. Le loro idee, con la forza che seppero imprimere al corso storico, sconfissero e poi rovesciarono il tradizionale modello di Stato paternalista dei partiti conservatori e infine vinsero la partita politica con i loro opponenti socialdemocratici. L’economia politica liberista ha di nuovo guidato il pianeta verso un eccezionale periodo di crescita e progresso, questa volta su scala mai vista prima, con ondate continue e successive di innovazioni che i meccanismi del libero mercato hanno diffuso automaticamente in tutto il pianeta, abbattendo ogni confine e rimuovendo ogni ostacolo, dalle semplici barriere tariffarie alle cortine di ferro, un tempo impenetrabili, erette da ogni specie di comunismo. E nonostante questo, quando la crisi finanziaria globale è scoppiata, a finire sul banco degli imputati, ancora una volta, è stata la politica economica liberista. Tutti volevano liberarsene, come di una cosa imbarazzante, mentre il suo principale portato scientifico, la teoria dei mercati efficienti, è diventato il bersaglio di commenti ironici, anche in ambito accademico. Ecco che l’economia globale si è arresa al solito, logoro e anacronistico keynesismo che ha provocato la più grande crisi globale del debito pubblico di sempre, di cui il caso greco rappresenta solo un aspetto secondario. L’unica preoccupazione reale è che possa costituire l’architrave di un muro più grande, quello del debito pubblico accumulato in America, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Spagna e in altri grandi attori del sistema economico globale.
 
La ricomparsa del keynesismo sulla scorta della crisi e la vittoria elettorale del principale leader socialdemocratico dei nostri tempi, Barack Obama, è ciò che chiamerei “la grande regressione”. Come ho scritto su Economic Affairs (The 1930s and the present day – crises compared, dicembre 2009), non vi è nulla di più contrario alla democrazia e alla razionalità economica del sistema di indebitamento pubblico piramidale messo in piedi da Obama, così generosamente finanziato dalla più insensata politica monetaria mai seguita dalla Fed, e in particolare dal più grande zelota della stampa di denaro fresco, il suo direttore Ben Bernanke. Se le politiche postbelliche di deficit e indebitamento portarono al collasso di Bretton Woods e dei sistemi di cambi fissi, l’espansionismo post-crisi e le politiche monetarie e fiscali porterà al discredito totale della cartamoneta stampata dallo Stato (a corso forzoso) e al ritorno allo standard aureo della politica economica liberista come nuovo mezzo di scambio. Se Papandreou resta tagliato fuori dai mercati, la posizione di Obama di fronte ai creditori non è meno problematica. A lui si chiede conto della svalutazione del dollaro e dell’inondazione di nuovi titoli di Stato che i suoi creditori devono assorbire per tenere in vita l’indebitatissimo settore pubblico americano.
 
I socialdemocratici dalle buone maniere sono oggi assediati, posti di fronte allo scacco, dovuto in ultima analisi all’implementazione delle loro idee sbagliate. Può essere che adorino Keynes e Roosevelt, ma l’applicazione delle loro idee e politiche li ha condotti all’impasse di oggi. I socialdemocratici dalle buone maniere di oggi, come i feudatari dei tempi antichi, sono pieni di debiti e in deficit, e quindi privi dei tradizionali strumenti economici keynesiani usati per stimolare un’efficace domanda e per rilanciare l’economia. Sotto assedio, intrappolati e disarmati, non sanno far fronte alla loro stessa crisi: tutto quello che possono fare è aspettare la loro caduta finale.
 
Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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