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Il passo in avanti

Per alcuni decenni i partiti politici sono stati il diaframma della società, un luogo attraverso il quale far circolare idee e opinioni in un rapporto – non sempre equilibrato – fra elettori ed eletti. Questo sistema è andato in crisi per tante ragioni. È collassato perché i partiti si sono spenti nella loro pervasiva autoreferenzialità e perché la società è profondamente cambiata essa stessa.
L’idea di mediazione fra i soggetti che la animano è mutata; la cinghia di trasmissione si è abbreviata al punto da svanire. Ci si è illusi che bastasse comunicare direttamente. Il salto tecnologico avvenuto attraverso Internet ha offerto la speranza che un mondo 2.0 potesse allargare lo spazio di partecipazione democratica. È stato così, ma siamo ben lungi dall’aver trovato una formula adeguata di rappresentanza politica. Quello che sta accadendo in Italia è esemplare.
 
La paralisi non riguarda solo l’azione di governo. Ciò che è entrato in crisi è il rapporto fra domanda ed offerta di politica. Mentre non vi sono dubbi che per circa un decennio il paradigma della cosiddetta Seconda repubblica corrispondeva
in larghissima parte alle aspettative dei cittadini, da ormai numerosi mesi Pdl e Pd si sono ridotti a sigle sempre meno radicate nel comune sentire della società italiana. Se questo può essere fisiologico, è del tutto patologico il fatto che non si riesca a determinare un ricambio, una riorganizzazione. La legge correttamente definita “Porcellum” è scandalosa per tante ragioni, ma in definitiva è il simbolo di organizzazioni elettorali che presumono di parlare ai cittadini alla vigilia del voto ed ottenere poi un mandato così ampio e assoluto da poter omettere sia la democratica scelta della composizione parlamentare sia la verifica con gli elettori nel corso del mandato. C’è il leader e c’è il voto. Tutto il resto è come se non contasse nulla. Non avendo avuto nessuno la forza (e forse neppure la volontà) di modificare questo impianto, il rischio – anzi, la certezza – è che a venir meno sarà l’intero paradigma e non solo la figura che pure meglio di tutti lo ha incarnato.
 
Il punto quindi non è chi sarà il nuovo capo popolo. Il tema, ancora largamente da esplorare, è come costruire una piattaforma solida che possa coniugare consenso e decisione evitando scorciatoie plebiscitarie e inevitabilmente populiste.
I partiti del ‘900 non sono stati quel male che per inerzia culturale ci siamo abituati a pensare. E tuttavia sarebbe folle immaginare di tornare al passato.
È semplicemente impossibile. Né si può avere la presunzione di cambiare il direttore d’orchestra lasciando inalterato spartito e musicisti che hanno fallito. Lo sforzo che è necessario richiede studio e confronto, ma anche audacia. L’iniziativa pre-politica di numerose associazioni e movimenti cattolici è interessante ed offre nuove speranze. Perché si trasformi in qualcosa che davvero porti beneficio al Paese è fondamentale liberarsi dei numerosi condizionamenti contingenti (anche quelli impertinenti che a volte si appalesano da Oltretevere) e alzare lo sguardo. Non per sognare una utopia ma per costruire istituzioni con l’ambizione che durino al di là del tempo di ciascuno di noi.


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