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Quali sono, ancora, i nodi dell’Occidente. La recensione di Pedrizzi

L’operazione editoriale intitolata “I nodi dell’Occidente” nasce da una discussione tra pochi amici su come si può provare ad organizzare un confronto sui temi cruciali per il nostro tempo. Un testo letto e recensito da Riccardo Pedrizzi

Va subito sottolineata l’intelligente architettura di questo volume, intitolato “I nodi dell’Occidente”, per il suo dipanarsi a cerchi concentrici, per il suo allargarsi a contributi diversi e variegati, per lo svolgersi della sua genesi e della sua costruzione.

Tutta l’operazione editoriale nasce infatti da una discussione tra pochi amici (viene alla memoria la nota canzone “Eravamo quattro amici al bar” di Gino Paoli) su come si può provare ad organizzare un confronto sui temi cruciali per il nostro tempo. Nasce quindi il libro da un comune sentire. Un idem sentire che, con l’ospitalità del Cenacolo di Tommaso Moro, mette in moto l’organizzazione di un convegno, che si svolge il 28 novembre scorso, sul tema: “Esistono i valori dell’occidente?”. Già si vola alto, dunque. Il Convegno perciò rappresenta la base per un confronto più ampio da realizzarsi con la pubblicazione di un volume, che raccoglie nella prima parte tutti gli interventi dei partecipanti all’evento e, nella seconda ulteriori contributi molto diversificati, per aprire ancora più alti ed altri orizzonti.

Tutti i contributi – è quello che sorprende – dei vari autori di diversa provenienza culturale, politica, persino di visione del mondo, presentano un comune terreno di riflessione e le medesime preoccupazioni sul presente. Tutti gli autori, cioè, sono sensibili e sentono la stessa urgenza di affrontare i problemi che assillano e si presentano ai nostri giorni. E spesso trovano soluzioni ed arrivano a conclusioni unitarie ed analoghe.

Avviene – se posso ricordare una vicenda che mi riguarda e che si riferisce ad un convegno da me organizzato “sulla partecipazione” a Genova, con il Cardinale Bagnasco – quello che riscontrai in una situazione analoga. Tutti erano d’accordo: Ugl, Cisl, Uil, Cgil e Confindustria sui sistemi di partecipazione alla gestione delle aziende ed alla distribuzione degli utili d’impresa.

La domanda: “Esistono i valori dell’Occidente?” se la ponevano tutti gli interventi, i saggi e gli autori, dimostrando con le rispettive analisi che era da tempo che si ragionava sul tema.

Lo dimostrano le analisi presentate, le risposte azzardate, le cause ricercate ed individuate di quello che unanimemente viene riconosciuto come “Il Tramonto dell’Occidente”. Anche se i punti di partenza spesso sono diversificati, come, ad esempio, quando si scrive che “la Rivoluzione Francese e i suoi epigoni non hanno mantenute le promesse, spingendo sull’acceleratore della libertà e dell’uguaglianza e trascurando la fraternità” come scrive Massimo De Angelis.

Mi chiedo, però, ma quali promesse avrebbero dovuto mantenere la Rivoluzione ed i suoi sostenitori se tutto il suo impianto ideologico era intrinsecamente e costitutivamente malvagio e diabolico, come tutto il pensiero conservatore ha dimostrato (cfr. Joseph De Maistre) e quindi gli esiti non potevano essere che quelli che osserviamo derivante dalla visione dell’uomo stessa che viene proposta che è quella dell’Homo novus, ad esempio.

Lo stesso ragionamento vale per il Liberalismo. “È questo il vero problema: qui si apre una questione teorica fondamentale: il sistema liberale e la sua filosofia subiscono oggi una degenerazione e un tradimento da parte dei loro epigoni o patiscono una manchevolezza originaria che oggi viene a squadernarsi? Credo in proposito vada messo a fuoco un limite antropologico del liberalismo in quanto tale. L’antropologia liberale, individualista, è essenzialmente egoista. Caratteristiche quali la solidarietà, strutture quali la famiglia e le stesse comunità, le stesse identità nazionali sono solo un ostacolo alla libera affermazione dell’individuo”.

Gli esiti che tutti noi registriamo oggi rappresentano una degenerazione del sistema e della filosofia liberale o è la stessa antropologia ad aver creato queste conseguenze negative. Quella dell’Homo oeconomicus?

Sta di fatto che tutti gli autori, guardandosi intorno si accorgono che ovunque ci sono rovine morali, e, con le guerre dei nostri giorni, anche materiali, delle quali bisogna prendere atto e per le quali occorrono soluzioni politiche e culturali che vadano, ad esempio, a contrastare “la cancellazione delle culture”, la distruzione di qualsiasi altra forma di civiltà, di tradizioni e di identità in nome del mercato e del turbocapitalismo.

Per quanto mi riguarda l’espressione “Valori dell’Occidente” si presta ad equivoci e può essere fuorviante. Meglio sarebbe stato forse parlare di “valori europei”, o valori romani, giudaico-cristiani, in relazione ai quali dobbiamo chiederci, qual’è la dinamica di questo tramonto, di questa caduta: forse l’umanesimo rinascimentale, la Riforma Protestante, il Razionalismo e l’illuminismo ecc. ecc.

Tornando all’oggi, si è giunti a considerare come unico valore indiscutibile la libertà di scelta di ciascun individuo nella sua autonomia assoluta. Sempre più a prescindere dall’oggetto di tale scelta… La libertà cosi come concepita oggi, non può che presentarsi in tutta la sua corruzione attraverso le nuove ideologie: animalismo; ambientalismo; scientismo. L’uomo diventa consumatore e scompare l’uomo lavoratore, risparmiatore.

È bello leggere Mario Tronti e sentire riecheggiare Ortega y Gasset quando descrive l’uomo massa.

Mi limito a un esame appena più approfondito degli scritti di Mario Tronti e Marcello Veneziani, con le domande che essi stessi si fanno: Quali sono i valori dell’Occidente? Quali sono le cause della crisi dell’Occidente? Quali le prospettive e le soluzioni?

In questi saggi ho trovato – è incredibile – delle assonanze e delle sintonie. Ma non poteva essere diversamente perché Tronti cita Romano Guardini e Jospeh Ratzinger, indirettamente, anche San Giovanni Paolo II: secondo il quale una democrazia senza valori si trasforma in totalitarismo. Tronti si sofferma anche a  parlare di “crisi di autorità”. Dell’Europa cita i “balletti delle riunioni del Consiglio” con tono dispregiativo. Si lamenta dell’assenza dell’Europa, parla di Kultur e si ispira a Oswald Spengler (“Un’Europa politica poteva, forse, caricarsi il compito di scrivere un nuovo nomos della terra, dopo il Novecento, a partire dal tragico della sua storia e dell’altezza della sua Kultur, una vera e propria nobiltà dello spirito”. Si sente riemergere Spengler.

“L’Europa occidentale è diventata ed è rimasta terreno di occupazione americana; l’Europa orientale, fin dentro la Germania, un terreno di occupazione sovietica”. L’assetto multipolare crea instabilità nel sistema internazionale). E poi indica una strada. “La guerra fredda equivale a una pace calda. È quello che ci vuole per mantenere vive le differenze, per garantire, come legittimi, punti di vista alternativi, per tenere acceso, civilmente, il conflitto. Allora, però, tra i due poli ci vorrebbe una forza, una potenza di interdizione, come sulla linea di confine tra due eserciti belligeranti… Ecco di nuovo l’Europa politica”.

Dal suo canto Marcello Veneziani si chiede cosa sia l’Occidente. In principio l’Europa, gli imperi, la cristianità. L’Occidente, l’idea di Occidente nasce paradossalmente con il libro che ne sancisce il tramonto, con Spengler.

E oggi come si può parlare di decadenza se siamo dinanzi allo sconfinamento globale dell’Occidente? Si chiede Veneziani se solo lo si voglia identificare come “un tempo”: il tempo della modernità. Quindi questo Occidente finisce quando non esiste più, e quando porta a compimento il suo modello globalizzandolo. Eppure questo tipo di Occidente, che è in crisi, purtroppo vuole imporre ancora quei modelli, di cui vive, a tutto il mondo, annullando tradizioni, distruggendo usi e costumi degli altri popoli considerati retaggio del passato, superstizioni.

Tutto questo nonostante imperi nei popoli europei un fatalismo della decadenza.

Ci viene in soccorso in questo caso la distinzione tra “civilizzazione” e “cultura” di memoria spengleriana: “la civilizzazione” è occidente ed è in crisi quando diventa globale, la Kultur è la civiltà, seppur acciaccata, come identità di origine, eredità, quella romana, cristiana e greca.

Più realistico è allora tornare a pensare in termini di civiltà all’Italia, al Mediterraneo, all’Europa come i riferimenti più preganti, più reali, più autentici e paradossalmente più universali della stessa categoria vaga e declinante di Occidente, declinata ed esaurita nell’orizzonte tecno-pratico e temporale. L’Europa ha abbandonato la cristianità e le sue radici classiche. La cristianità, dopo il vano tentativo di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI di risvegliare l’Europa cristiana, ha abbandonato l’Europa, per sposare la globalizzazione in versione umanitaria, interreligiosa e terzomondista.



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