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Premierato e autonomia differenziata, una doppia chirurgia troppo invasiva per l’Italia

Una doppia operazione chirurgica condotta al massimo in anestesia locale, potrebbe fare davvero male alla distribuzione del sistema dei poteri sino ad oggi specchio del rapporto tra Stato e società. L’intervento di Luigi Tivelli

Le questioni sul tappeto istituzionale italiano sono delicate e complesse, e per certi versi possono creare un groviglio non poco problematico, anche in quanto sembrano oggetto di scambio all’interno della maggioranza. La sensazione è che si sta incidendo sul sistema del potere e dei poteri con un po’ troppa fretta, senza adeguata riflessione e senza tener conto delle indicazioni che vengono dalla storia del potere in Italia.

L’elezione diretta del premier sembra una po’ una sorta di pesce che però ha uno strano sapore di carne, una sorta di carne che puzza un po’ di pesce. È noto che già alla costituente, anche personalità di grande intelligenza istituzionale ed etica pubblica, come Piero Calamandrei, erano a favore del presidenzialismo. Tema che taluno poi ha provato man mano a riproporre. Ora, se andrà in porto il progetto del governo avremo un caso di para-presidenzialismo unico al mondo. Non solo. Ci sarà uno svettamento verso l’alto del sistema del potere incredibile. Ho appena pubblicato un libro dal titolo “I segreti del potere. Le voci del Silenzio” (Rai libri), che ha comportato il tentativo di una riflessione attenta sul sistema del potere e dei poteri in Italia, anche tramite l’interlocuzione con autorevoli esperti e personalità istituzionali.

Ebbene, se si paragona il caso italiano al caso francese, emerge che mentre in Francia l’impronta “napoleonica” al sistema istituzionale e amministrativo è molto forte, in Italia lo è stata solo in maniera parziale.

In Francia il potere risiede essenzialmente nello Stato e nell’amministrazione e il semi-presidenzialismo è un complemento di ciò. In Italia, invece, è diverso il rapporto tra Stato e società. Se la Francia è il Paese della “monarchia istituzionale”, l’Italia è sempre stata, nell’epoca repubblicana, il Paese della “poliarchia”, della minor concentrazione del potere nello Stato e nell’amministrazione e della distribuzione di un sistema dei poteri tra Stato e società. La forma di governo parlamentare è, in qualche modo, il complemento di questo assetto del sistema dei poteri.

Ora, sulla base della proposta di elezione diretta del premier, ci sarebbe un netto svettamento del potere verso l’alto, con una assolutamente inedita concentrazione del potere nella figura del premier. Resa più forte e netta, oltre che dall’elezione diretta, dal fatto che con il sistema elettorale vigente lo stesso premier che verrebbe insediato è quello che si nomina sostanzialmente la sua maggioranza parlamentare, visto che i parlamentari sono sostanzialmente nominati e non eletti.

Con questo tipo di forzata ed eccessiva redistribuzione del potere si incrocia il progetto dell’autonomia differenziata territoriale. Molto grave nel Paese che ha il più significativo dualismo, quello tra Nord e Sud, in seno all’Unione europea. Pericolosa anche perché punta tutto sul rafforzamento del ruolo e del peso delle regioni forti. Un Paese in cui una delle istituzioni che meno ha dato buona prova è l’istituzione regione, mentre più buona prova hanno sempre dato i comuni.

Ma già abbiamo visto, ad esempio, gli effetti di quella improvvisata riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, in cui c’è il comma dal quale è nata la possibilità del cavilloso congegno dell’autonomia differenziata. Grazie a quella riforma non solo si è creato un diffuso conflitto tra Stato e regioni anche davanti alla Corte costituzionale, ma tra l’altro si sono create venti sanità regionali, nonostante quel servizio sanitario nazionale creato nel 1978 che negli anni ’80 molti ci invidiavano.

E gli effetti si sono visti. Abbiamo sistemi sanitari regionali all’avanguardia, come in Lombardia o Veneto, e tragedie sanitarie annunciate, come in Calabria, dove la sanità è commissariata da moltissimi anni. Il turismo sanitario di necessità è quasi maggiore, da sud verso nord, del turismo normale. Ma le autonomie regionali sono già in sostanza molto differenziate e mi pare che non si vedesse il bisogno di introdurre “l’autonomia differenziata”. Con il combinato disposto di elezione diretta del premier e dell’autonomia differenziata, per un verso, ci sarebbe un forte svettamento e una centralizzazione del potere verso l’alto, per altro verso nella distribuzione territoriale si concentrerebbe il potere reale in pochissime regioni ricche, destinate a diventare ancora più ricche (visto che deterrebbero parte significative delle entrate tributarie).

A questo punto il quesito è: non è che si sta imponendo una chirurgia troppo invasiva al sistema dei poteri? Una doppia operazione chirurgica condotta al massimo in anestesia locale, potrebbe fare davvero male alla distribuzione del sistema dei poteri sino ad oggi specchio del rapporto tra Stato e società. Né mi pare che i chirurghi siano del livello del grande Valdoni. Così non mi sembra che si sia fatta una “Tac” adeguata all’organismo della società italiana e del suo rapporto con le istituzioni e lo Stato.

Come è stato dimostrato nell’esito del referendum per il progetto, a suo tempo, di Berlusconi e per quello relativo al progetto costituzionale di Renzi, gli elettori forse mal sopportano una chirurgia così rapida e così invasiva, in cui l’operazione incide su due diversi organi. Tanto più che, dal punto di vista istituzionale, uno degli effetti più significativi dell’elezione diretta del premier sarebbe quello di debilitare i poteri sostanziali del Presidente della Repubblica. Quel Presidente della Repubblica guarda caso sempre primo per gradimento nei sondaggi, che regolarmente, negli stessi sondaggi ottiene il consenso di oltre 2/3 dei cittadini.



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