Le regole sulle quali si sono accordati i Paesi membri portano certamente in dote una maggiore flessibilità, se non altro nella tempistica per il rientro del debito. Ma tramontata l’era dell’austerity per ridurre i disavanzi non ci sarà altra strada che la crescita. E anche l’Europa dovrà fare la sua parte
Si fa presto a dire nuovo Patto di stabilità. Per essere nuovo, lo è, nel senso che supera certi schemi e logiche delle vecchie regole. Ma non è tutto rose e fiori, perché per stare dentro i nuovi vincoli (i principi cardine restano quelli fissati nel Trattato di Maastricht ovvero mantenere il deficit al di sotto del 3% del Pil e il debito al di sotto del 60%, ma con l’introduzione di margini di flessibilità per evitare che il risanamento dei conti si trasformi in austerità, blocco degli investimenti e rallentamento della crescita), l’Italia dovrà necessariamente mettere in moto la macchina della crescita. E così l’Europa. Tradotto, l’unico modo per ridurre debito e deficit, tramontata ormai l’era del rigore, sarà crescere e investire, come mette nero su bianco un’analisi elaborata dall’ufficio studi di Assonime, l’associazione delle spa italiane.
“Nel complesso le nuove regole rendono più flessibili i vincoli annuali sulla politica di bilancio, con parametri da rispettare meno stringenti in termini di aggiustamento richiesto rispetto alle norme precedenti”, si legge nel documento. Poi però, arriva la sterzata: la svolta soft c’è, ma non sarà tutto gratis, il debito andrà ridotto, possibilmente con la crescita. “Malgrado questa flessibilità, il nuovo Patto richiede comunque una politica fiscale restrittiva in quasi tutti gli Stati membri contemporaneamente, con possibili ripercussioni negative per la crescita dell’intera area in una fase in cui le sfide della doppia transizione e quelle globali sono molto significative. Inoltre, le nuove regole sembrano assoggettare i paesi ad alto debito a un significativo controllo da parte della Commissione europea non solo sulle politiche di bilancio, ma sull’intero quadro delle politiche economiche”, sottolinea Assonime.
Stringendo il campo sull’Italia, “rispetto alla regola in base alla quale ai Paesi ad alto debito è richiesto di ridurre il rapporto debito/Pil dell’1% (dovrà essere dell’1% annuo per i Paesi che superano la soglia di un rapporto debito-Pil del 90% e dello 0,5% annuo per chi lo ha tra il 60 e il 90% del Pil, ndr), va precisato che tale regola si applica in media su periodi di 4-7 anni e non in ciascun anno in maniera puntuale. Ciò concede un certo margine di flessibilità che associato al nuovo parametro di monitoraggio, costituito dalla spesa netta che consente il pieno funzionamento degli stabilizzatori automatici, dovrebbe permettere di attuare politiche anticicliche in fase di recessione”.
Ed ecco il punto, crescere per non involvere. E vale anche per l’Europa, che dovrà fare la sua parte. “Una volta chiuso il cantiere dell’architettura di governance europea, l’agenda della nuova Commissione si dovrà orientare rapidamente su come migliorare il funzionamento e la competitività delle economie dell’Ue, a partire dal completamento dell’unione bancaria, dalla creazione di un mercato dei capitali europeo, in grado di contribuire al finanziamento di grandi investimenti europei necessari per la doppia transizione verde e digitale, la difesa comune, la politica industriale europea”.
Che il nuovo Patto di stabilità comporti uno sforzo nelle direzione del debito, comunque, ne sono convinti anche alla Corte dei conti. “Nello scenario geopolitico ed economico aggravato da nuove incertezze, la gestione della politica economica si trova davanti a nuove sfide, sia sul fronte dell’economia reale sia dei conti pubblici”, ha messo in chiaro il presidente, Guido Carlino, indicando la necessità di “garantire un percorso di riequilibrio dei conti e un graduale rientro del rapporto debito-Pil: occorrono misure che, nel dare una risposta alle necessità di famiglie e imprese, assicurino un’ordinata e progressiva riconduzione delle dinamiche delle entrate e delle spese entro una cornice compatibile con la sostenibilità dell’elevato debito”.