L’obiettivo è mappare ed eliminare i contenuti creati con l’IA che possono influenzare il voto. A firmare l’impegno sono state Microsoft, Google, Meta, TikTok, OpenAI e Adobe. Musk è però il grande assente
Una promessa è una promessa e, sebbene ambiziosa, quella avanzata dalle principali Big Tech è estremamente importante che venga mantenuta. Nell’anno elettorale per eccellenza – 76 paesi andranno al voto, coinvolgendo 2 miliardi di elettori – le aziende tecnologiche si impegneranno a mappare e poi eliminare i contenuti generati dall’intelligenza artificiale che possono influenzare il voto. A cominciare dalle false rappresentazioni dei candidati, come accaduto al presidente americano Joe Biden in vista delle primarie in New Hampshire dove non era nemmeno candidato.
Politico è stato il primo a leggere la bozza del documento, che verrà svelata il prossimo venerdì in occasione della conferenza di Monaco sulla sicurezza. A sottoscriverla sono state aziende del calibro di Microsoft, Google, Meta, TikTok, OpenAI e Adobe, sottolineando quanto importante sia per le dirette interessate mostrarsi aperte e disponibili a risolvere ogni problema. La minaccia è concreta e, in quanto tale, proveranno anche ad educare i cittadini su come riconoscerla.
Il modo più facile per essere ingannati è imbattersi in un contenuto che vede protagonista un determinato candidato. Tramite deep-fake, i suoi messaggi (manomessi) vengono diffusi sui social network, avendo un effetto più o meno diretto con l’elettore. Generando quindi un circolo vizioso di notizie false.
Il piano rientra negli sforzi europei di ridurre all’osso le problematiche legate all’intelligenza artificiale. Dopo il trilogo conclusosi positivamente a fine anno scorso, l’AI Act ha ricevuto il via libera anche dagli eurodeputati delle commissioni Mercato Interno (Imco) e Libertà Civili (Libe), correndo verso la sua definitiva approvazione. Il testo è atteso al Parlamento europeo il 24 aprile, ma anche nel caso non farebbe in tempo ad entrare immediatamente in vigore per le elezioni di inizio giugno – lo farà in diverse fasi, la prima a sei mesi dall’adozione.
L’intenzione manifestata dalle Big Tech è dunque un’ottima notizia per l’Europa. Tutte loro hanno manifestato la volontà di seguire l’indicazione indicata da Bruxelles – e dagli stessi amministratori delegati, con quello di OpenAI Sam Altman che ha ribadito la necessità di creare un “quadro di regole” comune. Tutte, tranne una.
La grande assente è infatti X, che non figura all’interno della lista. Magari ci entrerà in seguito, ma da quando Elon Musk è diventato il capo (è stato chiamato a testimoniare dalla Sec proprio per chiarire i dubbi sulla sua acquisizione monstre), quello che un tempo era Twitter è finito nell’occhio del ciclone. La voglia di free speech manifestata dal tycoon sudafricano ha infatti aumentato le paure dei legislatori, credendo che il social network possa diventare un megafono di disinformazione.
Lui non fa niente per fugare le preoccupazioni altrui, anzi. Quando può è ben contento di condividere la contro narrazione: all’annuncio di Tucker Carlson dell’intervista a Vladimir Putin, Musk ha subito garantito di non oscurarla. D’altronde, lo sproloquio non era opera dell’IA ma rifletteva la visione del mondo del presidente russo.