Uno dei capisaldi della politica economica di Pechino è sempre stato quello di essere attraenti agli occhi del mercato. Ma la storia è andata diversamente, complice il crollo psicologico degli investitori esteri
C’è un grande vuoto di fiducia dietro le precipitose fughe di capitali e investitori dalla Cina. Sono mesi che il Dragone deve fare i conti con un addio su larga scala dei fondi, soprattutto stranieri, che non sembrano avere più alcun motivo di rimanere. Le ragioni, come raccontato da questa testata, sono molte: dal collasso del comparto immobiliare, alle cicliche ingerenze del partito, passando per la crisi di liquidità delle piccole banche, germe di un contagio più diffuso. L’Atlantic Council però ha provato a fare la sua lettura.
“Il crollo di lunga durata delle azioni cinesi ha spazzato via trilioni di dollari di investimenti e ha inferto un altro colpo a un’economia afflitta da crisi immobiliare, crescita lenta e deflazione”, è l’incipit di un report firmato da Jeremy Mark. “Potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso per gli investitori istituzionali stranieri, che un tempo vedevano la Cina come una destinazione essenziale. Il colpo assestato alle piazze di Shanghai, Shenzhen, Hong Kong e New York ha raggiunto circa 7 trilioni di dollari dall’inizio del 2021. Anche se i prezzi delle azioni hanno registrato una lieve ripresa negli ultimi giorni, quando Pechino ha adottato misure per porre un limite al mercato, il profondo disincanto degli investitori rimane”.
Perché? “La flessione del mercato si aggiunge alla debacle del settore immobiliare che ha portato le società (tra cui Evergrande, ndr) al fallimento, finendo col gravare sui governi locali cinesi con 13 mila miliardi di dollari di debiti. Tutto ciò si aggiunge a un disincanto sempre più profondo da parte degli investitori istituzionali stranieri, molti dei quali hanno fatto grandi scommesse sulla Cina un anno fa in attesa di un boom economico post-Covid. Quando il rally dello scorso anno si è esaurito, circa il 90% di quegli investitori stranieri, un tempo rialzisti, si sono diretti verso l’uscita”. Qualcosa, insomma, si è rotto. Se per sempre, resta da capire.
Secondo l’Atlantic Council, l’inversione dei flussi di capitale è stata anche “amplificata dai produttori stranieri che hanno spostato le fabbriche dalla Cina, producendo lo scorso anno un calo senza precedenti degli investimenti diretti esteri”. Il risultato è che “mentre un po’ di denaro continua ad affluire, soprattutto gli investitori che puntano al mercato dei titoli di Stato cinesi, gli afflussi netti esteri verso i mercati azionari cinesi lo scorso anno, pari a 6,1 miliardi di dollari, sono stati i più bassi degli ultimi anni”.
“Tutto ciò deve essere considerato ironico se non crudele, poiché uno degli scopi originali della politica cinese di apertura dei mercati agli stranieri era quello di attrarre investimenti istituzionali stabili e a lungo termine. Invece, la maggior parte degli investitori è ora altrove. Difficilmente questo sarà un risultato favorevole al governo di Xi”.