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Contando i fili d’erba. Uno ad uno

Il muro della retorica europea è crollato tutto d’un colpo. E’ bastata la crisi di un Paese come la Grecia per scoprire che l’ideale politico di De Gasperi e dei padri fondatori si era risolto in una finzione animata da opachi tecnocrati. Come si può chiamare Unione l’insieme di Paesi che hanno tante lingue diverse, tanti sistemi fiscali e di welfare, tanti eserciti e neppure tutti la stessa moneta (si pensi all’Inghilterra)? Abbiamo alimentato un mostro istituzionale nascondendo a noi stessi che il re era nudo. Ora ci siamo svegliati, e bruscamente. Oltre alla fine dell’Europa – nella versione degli ultimi vent’anni – scopriamo che è giunta al tramonto anche l’illusione che il nostro modello di crescita potesse durare all’infinito. Come se si potesse continuare ad accumulare debiti senza che nessuno ce ne chiedesse conto. Certo, soprattutto fra chi fa politica (nei giornali, non solo in Parlamento), è forte la tentazione di trovare i colpevoli: nelle grandi banche d’affari, negli speculatori, nell’America persino. Neppure nella disfatta più palese riusciamo ad assumerci la nostra responsabilità.
Invece è da qui che dobbiamo ripartire. Debito e speculazione sono due facce della stessa medaglia. L’Italia, l’Europa, l’Occidente hanno scarsa produttività ed eccessivi consumi. Questo paradigma, con la crescita di Brasile, Russia, India e Cina, non regge più. Punto. Possiamo cambiare schema di gioco e tornare in partita? La risposta è sì ma l’incognita e se ne siamo capaci, se lo vogliamo. Dobbiamo scendere dal piedistallo sul quale eravamo comodamente adagiati e dal quale guardavamo gli altri dall´alto verso il basso e scoprire che i debiti assunti dai nostri genitori e dai nostri nonni chiedono di essere onorati. Sacrifici, ma non autoflagellazione. Lotta ai privilegi, e non solo quelli della politica nazionale. E tensione, massima tensione, all’equità delle misure da intraprendere.
Nel caso dell’Italia poi si tratta di intervenire in modo deciso sul debito pubblico. Questo vorrebbe dire non solo mettere in ordine i conti ma liberare le nuove generazioni dal fardello ormai insopportabile dei miliardi di euro che ogni anno paghiamo di soli interessi. Si può fare, è complicato ma è possibile. Certo, non lo può fare un singolo governo. C’è bisogno della responsabilità dei sindacati, delle imprese, delle banche, di Bankitalia (non dimentichiamo la questione oro), dei contribuenti tutti. Serve uno sforzo corale ed una regia che però non può prescindere dal primato della politica. Una politica che abbia il respiro del domani e la prospettiva di un futuro in cui l’interdipendenza non è più una variabile ma una costante. Nella nostra agenda non c’è più la sola delega ad un leader, c’è una responsabilità diffusa (con onori e oneri). Insomma, la metafora delle formiche ci convince ancora, e sempre di più.


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