Se si candidassero e venissero elette in Europa, per continuare a svolgere il loro ruolo, il premier e la segretaria dem dovrebbero dimettersi. Per cui, sarebbero candidature farlocche. La Lega di Salvini arranca perché non si rivolge più all’elettorato centrista (come ha sottolineato Umberto Bossi). E il terzo mandato per i governatori potrebbe essere rischioso, così come il premierato. Conversazione con l’ex ministro democristiano, Cirino Pomicino
“Meloni e Schlein non si devono candidare alle Europee. Sarebbero due candidature farlocche. Sarebbe invece opportuno che lasciassero spazio ad altre figure e contribuissero a creare un po’ di classe dirigente”. Paolo Cirino Pomicino, ex ministro democristiano la vede così. Pur premettendo che “non è il primo problema che riguarda gli italiani”, la sua chiacchierata a Formiche.net comincia da uno fra i temi che più stanno interrogando commentatori, politici e (parte) dell’elettorato.
Pomicino, che significa candidature farlocche?
Se il premier e la segretaria del Pd si candidassero alle Europee, avrebbero senz’altro la certezza di essere elette. Poi, una volta elette, per continuare a svolgere l’incarico che attualmente ricoprono sarebbero costrette a dimettersi. Che senso ha? Nessuno. Largo ad altri.
A proposito del premier, ha seguito il De Luca show davanti a palazzo Chigi. Le parole del presidente campano contro Meloni sono state offensive.
Conosco bene Vincenzo De Luca. Ma penso che sia politicamente impazzito. E peraltro questo teatrino, questa azione di piazza, non penso faccia bene neanche a lui.
E allora che senso ha avuto?
Nessuno. Un modo per attirare l’attenzione. Ma secondo me è il tempo che De Luca faccia una scelta di campo: o esce dal partito e ne fonda un altro circoscritto alle zone meridionali, nell’alveo del centrosinistra. Oppure rientra nei ranghi. Questa messa in scena sfociata negli insulti è comunque la dimostrazione del disastro in cui versa il sistema politico italiano. Poi ci meravigliamo che gli italiani non vanno più alle urne…
La questione che pone De Luca, relativamente al terzo mandato per i presidenti di Regione, però, è seria e trasversale. Da Zaia a Bonaccini, passando per Emiliano. Lei che idea si è fatto?
Vede, se i partiti fossero ancora in grado di orientare le scelte del governo centrale, ma soprattutto delle giunte regionali, avrebbe un senso battersi per il terzo mandato. Andrebbe bene farne anche un quarto, un quinto. Ma, non essendo più i partiti in grado di esercitare questo tipo di azione politica, il terzo mandato per i presidenti di regione rischierebbe di non far bene alla democrazia.
Cosa intende dire?
Penso che una proroga di oltre dieci anni di potere nelle mani di un governatore di regione potrebbe conferirgli troppo potere. Quasi una personalizzazione. Piccoli partiti personali sparsi qua e là in giro per lo Stivale. No, non penso sarebbe una bella cosa. D’altra parte, non vedo perché debba vigere il vincolo dei due mandati in sistemi democratici consolidati come quello statunitense e quello francese e non da noi.
Anche il leader della Lega Matteo Salvini si sta battendo molto per il terzo mandato. È un’altra via per tenere sotto scacco il governo e arrivare allo strappo?
Non penso che nella compagine governativa ci saranno grossi sconvolgimenti, tanto più che al momento nessuno avrebbe un’alternativa vera. Il problema di Salvini, in questo momento più che mai, è lo spostamento del baricentro del partito. Ed è stato un uomo della Prima Repubblica a ricordarglielo: Umberto Bossi.
Il senatùr si è detto preoccupato della condizione in cui versa il Carroccio.
Non solo, ha detto una cosa molto più importante ossia che lo spazio politico della Lega deve essere al centro e che lo spostamento verso destra non porta da nessuna parte se non a una progressiva erosione dei consensi.
Anche in ottica europea?
Ma certo. Con i gruppi di estrema destra di Id – la famiglia politica europea di cui la Lega fa parte – il ruolo di Salvini e del suo movimento è destinato a rimanere marginale. D’altra parte, storicamente, la Lega ha acquisito consensi quando si è spostata al centro. Questo è un Paese, nel profondo, ancora democristiano.
E il sentimento di questo elettorato – ormai orfano di una casa quale era la Balena Bianca – si è rivolto a Meloni e a FdI in questo momento?
All’inizio di questa legislatura senz’altro Meloni, sposando l’ortodossia europeista e atlantista aveva dato segnali di rassicurazione molto interessanti che l’hanno premiata. E una buona parte dell’elettorato centrista si era rivolta a lei. Ora, però, si sta via via allontanando.
Qual è la causa di questo allontanamento a suo modo di vedere?
Un po’ l’autonomia differenziata che, più che essere dannosa, non avendo risorse sufficienti per garantirne la sostenibilità resterà uno slogan. Ma, la cosa più grave, è la riforma della Costituzione.
Coltiva, anche lei, il dubbio che il premierato possa depotenziare il ruolo del Capo dello Stato?
Il punto più critico della riforma non è legato alle prerogative del Presidente della Repubblica, bensì a quelle del Parlamento. Peraltro si vorrebbe, oltre all’elezione diretta del presidente del Consiglio, anche il premio di maggioranza. Cose che non stanno né in cielo né in terra. Se si toccano le prerogative parlamentari, prima o poi si intacca anche la libertà del Paese.