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Sussidiarietà e territorio

Incontriamo Maurizio Sacconi nel suo ufficio, al ministero del welfare. Il pomeriggio è passato da un pezzo ma il lavoro ancora naturalmente intenso che osserviamo ci fa desumere che l’impegno fino a sera non sia da queste parti un’eccezione. Neanche i rumors dello show-down fra Berlusconi e Fini andato in scena poche ore prima sembra distrarre i “guardiani della crisi”. E’ questa – la crisi – la principale fonte di preoccupazione del dicastero di via Veneto. Ministro, a che punto è la notte?
«Siamo immersi in una sorta di centrifuga, cioè in una condizione ben diversa da quella che abbiamo conosciuto nel 2009. Quello scorso è stato l’anno della gelata: la domanda globale di beni e di servizi si è fermata pressoché ovunque. Allora l’obiettivo era proteggere il reddito dei lavoratori costretti all’inattività allo stesso tempo mantenendo vivo il loro rapporto di lavoro, quindi conservando inalterata quanto più possibile la base produttiva e la base occupazionale del Paese. Il 2010 è un anno molto diverso: la ripresa globale si è messa in movimento, il commercio globale tende a crescere. Si tratta però di una crescita fortemente selettiva che evidenzia una nuova gerarchia delle diverse aree del mondo e che si presenta discontinua perché interrotta da criticità che possono diventare anche sistemiche se non affrontate rapidamente. Penso ad esempio al rapporto tra i mercati finanziari e i titoli pubblici che sono cresciuti come è cresciuto il debito e che vedono i mercati finanziari resi diffidenti nei confronti di questi titoli se alle loro spalle non c’è una rigorosa disciplina di bilancio. Insomma, abbiamo davanti a noi una ripresa discontinua e selettiva, che il nostro Paese può agganciare nella misura in cui ha una robusta base produttiva che sia in buona parte internazionalizzata mettendoci quindi nella condizione di raggiungere i consumatori là dove questi appaiono più dinamici. Noi abbiamo il compito di accompagnare questi processi di internazionalizzazione, di creare condizioni favorevoli per essere un Paese nel quale compagnie multinazionali – anche tascabili come sono molte presenti sul nostro territorio – eleggono o mantengono qui la loro base operativa sviluppando così un terziario industriale rivolto al mercato globale. Allo stesso modo, abbiamo bisogno di risolvere molte delle diseconomie esterne a un’impresa e mi riferisco alla logistica, all’energia e ai loro costi per il sistema delle imprese. Abbiamo infine necessità di investire fortemente nel capitale umano perché si è rivelato un fortissimo disallineamento fra le competenze che vengono richieste e le competenze che sono disponibili nel mercato del lavoro. Il nostro compito nel 2010 e nel tempo di fronte a noi, è quello di non limitarci alle politiche difensive che abbiamo lodevolmente svolto con effetti di coesione sociale nell’anno trascorso, non limitarci a quelle politiche di stabilità, di liquidità e di occupabilità ma operare proprio per incrementare il capitale organizzativo, il capitale fisso investito e il capitale umano del Paese».
Il precedente della Grecia però fa paura a tutti in Europa e l’Italia non ha situazione di finanza pubblica che può indurre all’ottimismo. Scommettere su nuovi investimenti pubblici potrebbe apparire un azzardo.
«Non condivido questa sorta di equazione tra spesa pubblica e crescita. Io non credo che avremo bisogno di politiche fiscali, di sostegno della domanda o per certi versi perfino di sostegno dell’offerta o dell’aggiornamento dell’offerta. Noi abbiamo bisogno di investire robustamente nell’incremento del capitale fisso investito, e qui le risorse sono necessarie ma è necessario soprattutto renderle effettive. Parliamo ad esempio dei tempi lunghi che ancora caratterizzano gli investimenti nella logistica e nelle infrastrutture. Altresì abbiamo bisogno di incrementare il capitale organizzativo, il che significa fare riforme che non costano o talora addirittura che consentano di razionalizzare la spesa. L’esempio del servizio socio sanitario spaccato a metà ci dice che “più si spende, peggio si spende”. Altre riforme possibili che attengono il capitale organizzativo del Paese riguardano la giustizia, non solo quella penale ma anche civile amministrativa, del lavoro; riguardano l’insieme delle amministrazioni pubbliche, e lo stesso investimento nel capitale umano, o comunque l’innalzamento del capitale umano nel nostro Paese; riguardano per molti aspetti anche il rapporto tra la legge e il contratto, quindi riguardano aspetti regolatori. Guardiamo a questo punto specifico: noi abbiamo bisogno di creare condizioni favorevoli dal punto di vista dell’impiego del fattore lavoro per processi di aggiustamento produttivo, che significa che due parole d’ordine varranno nel prossimo tempo: sussidiarietà e territorio. Sono due concetti metodologici ma molto importanti. Questo è il senso dello Statuto dei lavori avere uno zoccolo essenziale di diritti inderogabili di legge, di diritti fondamentali generalmente tutelati dalla legge e sanzionati e però poi rinviare alla flessibile e duttile contrattazione tra le parti il reciproco adattamento nelle diverse condizioni di territorio – siamo un Paese con fortissimi divari territoriali  – e di realtà aziendali. Gli esempi dei recenti accordi per i nuovi investimenti nella Fiat a Pomigliano d’Arco, che sono stati accompagnati dalla disponibilità almeno di una parte del sindacato a condividerne una riorganizzazione degli orari di lavoro, o quelli con Banca Intesa per circa mille assunzioni nel Mezzogiorno grazie anche ad una deroga al contratto nazionale sui salari di ingresso, ci dicono che questa è la ricetta giusta».
La ricetta dello Statuto dei lavori.
«Lo Statuto sarà un corpo essenziale di diritti fondamentali generalizzati sul quale le parti modulano le tutele, le adattano nel tempo, nei territori, nelle diverse dimensioni di impresa, di settore. Sono modulabili le tutele ma anche le forme e i modi di organizzare il lavoro, a partire dal salario. Così l’economia si ri-territorializza».
Quello del legame con il territorio è una parola d’ordine della Lega. Ha timore che il partito di Bossi possa condizionare l’intera maggioranza, come pure sospetta il presidente della Camera?
«La Lega ha beneficiato della sovraesposizione del Popolo della libertà ma questo non costituisce un problema per la coalizione di governo perché la sintonia tra il Pdl e il Carroccio è oggettivamente molto robusta, tanto che è legittimo cominciare a porre all’ordine del giorno il tema anche di un rapporto federativo tra i due partiti».
In tanti però agitano il fantasma di una secessione di fatto, fra un Nord ben rappresentato da Bossi e un Sud privo di altrettanto forte e qualificata rappresentanza.
«La questione settentrionale non è separata dalla questione nazionale, anzi si identifica con essa. La particolare ostilità del Nord alle inefficienze che sono in una parte d’Italia e nelle sue istituzioni innanzitutto corrispondono a un’esigenza dell’intero Paese: non sono quindi espressione di una sorta di chiusura in se stesso del Nord. Il successo della Lega alle ultime elezioni è stato favorito da una straordinaria aggressione nei confronti del leader del Pdl che si è risolta solo in una leggera redistribuzione all’interno di una coalizione con un alleato con il quale la sintonia è molto forte. Quanto al Mezzogiorno, credo che il governo stia avendo l´approccio giusto. L´idea di federalismo fiscale che noi vogliamo realizzare, non solo non penalizza il Sud, ma è la migliore risposta ai suoi bisogni di liberazione dalla cattiva amministrazione pubblica. Il simbolo del federalismo fiscale è il fallimento politico. Questo servirà a introdurre una nuova regola: quella per cui gli amministratori che escono da determinati parametri di bilancio vengono dichiarati immediatamente falliti, commissariati e resi ineleggibili a questa e ad altre funzioni pubbliche per un congruo numero di anni, come accade a coloro che falliscono nella dimensione civilistica. Io sono convinto che nel Mezzogiorno una diversa regolazione del gioco stimolerà percorsi virtuosi molto rapidamente e che nella sanità assisteremo a cambiamenti di paradigma molto presto. Il meridione ha interesse a riscoprire l’efficienza dell’ordinaria amministrazione attraverso le opportune deterrenze che sostengono il passaggio dalla non-responsabilità alla responsabilità. Ha interesse nella sussidiarietà, e cioè che, su uno zoccolo di regole oggettivamente uguali, vi sia molta duttilità, molta possibilità di adattamento per realizzare percorsi graduali di cambiamento. Il Sud deve pensare Sud, come il Nord pensa Nord».


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