Bruxelles entra a gamba tesa su un appalto per le ferrovie bulgare, dove il titano statale ha offerto un contratto alla metà dei prezzi stimati dal governo, mettendo mano per la prima volta alle nuove regole anti-sovvenzioni. Secondo la Commissione, ci sono abbastanza indizi per sospettare una distorsione del mercato. Ma la questione è anche politica
È la cinese Crrc – o perlomeno, la sua controllata Qingdao Sifang Locomotive – l’obiettivo dell’ultima indagine dell’Unione europea sui sussidi statali. Il titano ferroviario, di proprietà dello Stato, è da poco diventato il primo caso a essere messo al vaglio del nuovo regolamento europeo sulle sovvenzioni estere, entrato in vigore appena sei mesi fa. Ma non è l’unica realtà cinese nel mirino della Commissione, anzi: anche le auto elettriche e l’acciaio cinesi sono oggetto di indagini anti-dumping.
Il caso è partito dalla Bulgaria, impegnata a modernizzare la sua rete ferroviaria, che ha fatto partire un appalto per venti treni elettrici – finanziato parzialmente con i fondi di Next Generation Eu – con un contratto da circa 610 milioni di euro. Tuttavia, sembra che l’azienda cinese abbia offerto la metà, affiancando alla proposta della spagnola Talgo (in linea con le aspettative del governo bulgaro) un’opzione fin troppo gustosa.
Secondo il commissario al mercato interno Thierry Breton, che ha annunciato l’apertura dell’indagine venerdì, le cifre cinesi sono possibili solo grazie agli ingenti sussidi del Partito-Stato – 1,75 miliardi di euro, stando alle stime di Bruxelles, che ha tempo fino al 2 luglio per prendere una decisione. Secondo i primi accertamenti, ha scritto la Commissione in un comunicato, ci sono “sufficienti indizi per ritenere che a questa azienda sia stata concessa una sovvenzione estera che distorce il mercato interno”.
La mossa, salutata con favore dall’associazione europea di riferimento, è consistente con l’irrigidimento della Commissione nei confronti della Cina, sulla scia delle preoccupazioni delle industrie legate alla transizione verde. Martedì, nemmeno ventiquattr’ore dopo aver annunciato la sua disponibilità a candidarsi per un secondo mandato in testa al braccio esecutivo dell’Ue, la presidente Ursula von der Leyen si è presentata a un meeting di industriali per rimarcare quanta attenzione verrà posta alle industrie del Vecchio continente.
Lo stesso Breton, che sta suonando la stessa melodia, ha ricordato che evitare distorsioni nel mercato unico “è vitale per la nostra competitività e sicurezza economica”. E il mercato degli appalti, che rappresenta il 14% del Pil europeo, “è un forte strumento economico. È anche un’importante leva geopolitica”, ha aggiunto il commissario francese. E certamente quella dimensione non manca: come rimarca Stuart Lau di Politico China Watcher, Crrc è la “forza trainante” della Via della Seta cinese. E del resto non si spiega un’offerta più bassa del 46,7% rispetto al costo stimato dalle ferrovie bulgare se non con un calcolo sull’estensione dell’influenza.
Intanto procede l’indagine sull’“inondazione” di veicoli elettrici annunciata da von der Leyen lo scorso settembre, mentre governi e automaker europei dibattono sul futuro dell’auto europea – e la stessa Stellantis pensa ad aprire la fabbrica di Mirafiori a un’azienda cinese (attraverso una joint venture controllata dalla parte europea). Anche i pochi produttori di pannelli solari sopravvissuti all’ondata cinese degli scorsi anni stanno avvertendo le capitali che senza correttivi commerciali dovranno rilocalizzare la produzione negli States.
A Pechino non sta sfuggendo il cambio di tono. Lunedì il portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning si è detto preoccupato. “Ci auguriamo che l’Ue utilizzi con prudenza lo strumento del regolamento sulle sovvenzioni estere, che gestisca le questioni economiche e commerciali specifiche attraverso il dialogo e la consultazione e che fornisca un ambiente equo, giusto e non discriminatorio per le aziende cinesi”. È stato più diretto un anonimo funzionario cinese parlando al Financial Times: “La Cina teme che l’Ue inizi a seguire l’esempio degli Stati Uniti nel discriminare i prodotti e gli investimenti cinesi”.
Si tratta del solito copione secondo cui le preoccupazioni economiche europee vanno derubricate come vassallaggio di Washington. Ma il rapporto non è statico: se da una parte le autorità cinesi hanno risposto all’indagine sugli EV, fortemente voluta da Parigi, con un’indagine anti-dumping sul cognac, dall’altra hanno preso misure per limitare la sovrapproduzione. Può darsi che sia dovuto solo alle preoccupazioni per l’economia interna, ma da entrambe le parti si è consapevoli che il vento sta cambiando.