Gli Usa impongono restrizioni sul servizio nelle mani del Partito comunista. L’Ue, invece, si muove con lentezza. Il rapporto Berendsen potrebbe dare il via a nuove misure per contrastare l’influenza di Pechino su porti e commerci, scrive Corradi (Choice)
“Cinque milioni di camion, oltre 200 centri logistici in tutto il mondo, diversi porti in Cina e all’estero, e oltre 450.000 utenti in Cina che possono utilizzarla sia per scopi commerciali, come prenotazioni online o richieste di prezzi, sia in contesti business-to-government, come sdoganamenti o dichiarazioni di carichi speciali”. Sono i numeri di Logink, piattaforma cinese di gestione dati della logistica, citati in un rapporto del consorzio Choice (China Observers in Central and Eastern Europe). Come raccontato l’anno scorso da Formiche.net, si tratta di uno strumento che, venduto a basso prezzo (anche in Italia), consente al Partito comunista cinese di sfruttare colli di bottiglia ma anche tracciare carichi militari su navi commerciali.
Logink, presente in sette grandi porti europei (Anversa, Brema, Amburgo, Barcellona, Sines, Riga e Rotterdam), “non solo mette in mostra i progressi della Cina nella tecnologia logistica, ma suscita anche preoccupazioni sulla proprietà dei dati, sulla sicurezza economica e sulle conseguenze strategiche dell’influenza tecnologica straniera nella sfera marittima dell’Unione europea”, scrive l’esperta Tereza Corradi.
Gli Stati Uniti guidano la reazione occidentale alla minaccia rappresentata da Logink. La scorsa settimana l’amministrazione Biden ha stanziato oltre 20 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni sulla sicurezza dei porti nazionali, con l’obiettivo, tra gli altri, di dismettere l’utilizzo di gru di fabbricazione cinese che spesso portano con sé la piattaforma Logink. Ma non solo: Washington ha applicato alcune restrizioni vietando al Pentagono di utilizzare qualsiasi porto marittimo in tutto il mondo che utilizzi il Logink e incaricando il segretario di Stato di avviare discussioni con alleati e partner per eliminare il sistema cinese dai loro porti.
L’Unione europea, invece, si muove con lentezza nonostante i porti europei gestiscano il 74% del trasporto merci extra-comunitarie e facilitino circa il 37% degli scambi commerciali tra i Paesi membri. La recente adozione da parte del Parlamento europeo del cosiddetto rapporto Berendsen, incentrato sulla “costruzione di una strategia portuale europea globale”, rappresenta un passo importante nell’affrontare il crescente coinvolgimento di attori non europei in infrastrutture marittime essenziali. Ora ci si aspetta un passo deciso da parte della Commissione europea, che recentemente si è limitata a sottolineare la necessità per i porti europei di gestire i dati sensibili in modo sicuro e in conformità con le normative comunitarie.
Alla luce del ruolo cruciale dei porti nella pianificazione strategica, è “fondamentale” che la politica assuma “misure specifiche volte a ridurre la crescente influenza della Cina sui sistemi di dati connessi a Internet”, scrive Corradi. “Il crescente utilizzo di Logink nei porti europei evidenzia la necessità impellente per i responsabili politici di stabilire piani solidi in grado di contrastare efficacemente il crescente dominio della Cina sulle infrastrutture globali critiche e sulle strutture operative”, conclude.