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Cosa racconta la sanzione disciplinare al generale Vannacci. L’opinione di Butticé

Il commento del generale della Guardia di Finanza in congedo Alessandro Butticé, già portavoce dell’Ufficio europeo per la lotta alla frode (Olaf), primo militare in servizio presso le Istituzioni europee, e presidente della sezione di Bruxelles-Unione Europea dell’Associazione nazionale finanzieri d’Italia, alla sanzione disciplinare comminata all’ex comandante dei reparti speciali

Il 28 febbraio è stata resa pubblica la notizia della sanzione disciplinare comminata dal ministero della Difesa al generale Roberto Vannacci. Sanzione disciplinare che avevo previsto, e considerato ineluttabile, per le ragioni spiegate in due articoli pubblicati su Formiche.net il 22 ed il 29 agosto dello scorso anno (“Io, generale in congedo, sto col ministro Crosetto, e spiego perché”, e “Vannacci, la libertà di pensiero non è diritto all’impunità”). Cioè immediatamente dopo la pubblicazione del suo libro “Il Mondo al contrario”. Pubblicazione che ho definito senza esitazione un pericolosissimo precedente per la democrazia italiana. E cioè quello di permettere ai militari in servizio, dopo il cattivo esempio di tanti magistrati, di entrare a gamba tesa nel dibattito politico. Come avviene unicamente nelle repubbliche delle banane o in quelle islamiche.

Precedente che, se non stigmatizzato sia da destra che da sinistra, e sanzionato, potrebbe giustificare tra dieci anni, ad esempio, un generale musulmano che inneggi pubblicamente all’adozione della sharia in Italia.

Le mie previsioni sanzionatorie si sono sinora rivelate fondate. Anche se vennero indirettamente confutate, lo stesso giorno del mio primo articolo, persino da un ex Capo di Stato Maggiore della Difesa. Il quale ha giustificato Vannacci, su queste stesse colonne, all’insegna della supposta carenza, a mio viso erronea, di un interesse militare o di servizio (per un grado quasi vertice, e non un semplice caporale) del contenuto del suo libro.

Interesse, «militare o di servizio», che doveva obbligarlo, prima della sua pubblicazione, a richiedere l’autorizzazione dello Stato Maggiore. Come previsto dal Codice dell’ordinamento militare.

Le mie previsioni, peró, si sono sinora rivelate fondate solo parzialmente.

In quanto mi sono, sinora, sbagliato sull’entità della sanzione prevista. Che immaginavo inesorabile, come la sua candidatura al Parlamento europeo, seppure di lieve entità.

Mentre la “sospensione dall’impiego per 11 mesi, con conseguente uguale detrazione di anzianità e dimezzamento dello stipendio”, annunciata dall’avvocato di Vannacci all’Adnkronos, non può essere certamente definita una sanzione di lieve entità.

Compromissione grave del prestigio e della reputazione dell’Esercito

Sempre secondo il legale, la motivazione della sanzione – che rientra invece pienamente nelle mie previsioni: “stigmatizza le circostanze della pubblicazione del libro ‘Il mondo al contrario’ che avrebbe asseritamente denotato ‘carenza del senso di responsabilità’ e determinato una ‘lesione al principio di neutralità/terzietà della Forza Armata’, ‘compromettendo il prestigio e la reputazione dell’Amministrazione di appartenenza e ingenerando possibili effetti emulativi dirompenti e divisivi nell’ambito della compagine militare’”.

Fatti e addebiti sicuramente gravi, come spiegato ad agosto. Perché, oltre alle leggi, hanno leso l’onore militare e violato il giuramento prestato. Per ragioni che non voglio ripetere.

Confesso tuttavia che il combinato disposto dall’asprezza della sanzione disciplinare, e dalla contestuale apertura di indagini giudiziarie per la gestione di fondi pubblici quando era addetto militare a Mosca, mi pone qualche interrogativo.

Non tanto su quella che alcuni considerano già una sorta di vendetta a freddo, con uso improprio dell’indagine penale. Ma, soprattutto, per gli effetti finali che potrà avere sull’intera vicenda, che potrebbe essere persino premiale. In quanto, salvo un ipotetico addebito, da parte della Corte dei conti, di un danno erariale derivante dal nocumento per l’immagine delle Forze Armate, alla fine, potrebbe diventare un ulteriore catalizzatore di consenso, anche tra molti che rivestono ancora un’uniforme, alla vigilia delle elezioni europee.

Sono ben consapevole che i tempi delle procedure amministrative, al pari di quelli della macchina giudiziaria, non sono prevedibili, pianificabili e neppure comprimibili. Ma la coincidenza temporale, che alcuni hanno maliziosamente definito «ad orologeria», potrebbe risultare più un vantaggio che una vera misura sanzionatoria.

E quindi un regalo per chi, come Vannacci, a mio modesto avviso, non ha rispettato la legge e onorato il suo giuramento. Ma che, una volta dismessa l’uniforme, avrà tutto il diritto di esercitare come meglio riterrà il proprio diritto alla libera e pubblica manifestazione del pensiero.

Cosa succede nel resto d’Europa?

A chi, ancora, si dimostra sorpreso dal fatto che il generale, che alcuni considerano persino “eroico”, sia stato sanzionato, invocando a sua discarica l’articolo 21 della Costituzione, non ripeto quando già scritto in proposito il 29 agosto. E non ricordo nemmeno gli altri articoli della Costituzione, non meno importanti, che Vannacci era chiamato a rispettare e non ha rispettato. Né che comprendo la sua giá annunciata intenzione di presentare ricorso al Tar.

Voglio invece segnalare che, nel resto dell’Europa, il diritto alla pubblica manifestazione del pensiero, per determinate funzioni e soggetti, come ad esempio magistrati e militari, non è illimitato, come si vorrebbe pretendere in Italia.

Lo faccio limitandomi a due esempi: quello della Francia, e quello della Funzione pubblica dell’Unione europea.

La Grande muette francese

Quando il generale François Lecointre, attuale Gran cancelliere della Legione d’Onore, era Capo delle Forze Armate francesi, scrisse una dura lettera a tutti i militari. Che in realtà era rivolta ad un centinaio di alti ufficiali, e più di mille soldati, che avevano pubblicamente sostenuto che la Francia era “in pericolo”. Affermando che “l’islamismo e le orde dalle periferie” stanno trasformando il paese, che si sta “disintegrando”.

Lo fece affermando senza mezzi termini che per loro “la cosa più ragionevole” da fare era quella di “lasciare l’istituzione per poter rendere liberamente pubbliche le proprie idee e convinzioni”.

François Lecointre, passato alla storia come l’ufficiale che, durante la guerra nella ex Jugoslavia, ha comandato l’ultimo assalto «baionetta contro cannone» dell’Esercito francese, oltre ad avere dimostrato sul campo di essere un autentico eroe, ha confermato, a differenza di Roberto Vannacci, a mio sommesso avviso, di conoscere anche la grammatica istituzionale e costituzionale.

Qualità che dovrebbe essere indispensabile per essere un generale, e non un semplice Rambo, e dirigere le forze armate di una potenza nucleare, oltre che di un paese democratico.

Sottolineò infatti – con una chiarezza che mi piacerebbe diventasse regola bipartisan accettata da tutti anche nel nostro Paese – come “l’obbligo di riservatezza imposto a tutto il personale militare è stato ampiamente trasgredito”, accusando i firmatari di “trascinare le Forze Armate in dibattiti politici in cui non hanno né legittimità né vocazione a intervenire”.

“Ogni soldato è libero di pensare ciò che vuole”, scrisse, “ma spetta a ciascuno distinguere senza ambiguità tra la sua responsabilità di cittadino e quella di soldato”. Precisando che è la loro “neutralità” che permette alle Forze Armate di essere coinvolte “senza riserve e senza secondi fini”.

Non è quindi un caso che le Forze Armate francesi vengono chiamate “la grande muette”: la grande silenziosa.

Lealtà, imparzialità e libera manifestazione del pensiero della funzione pubblica Ue

Per quanto riguarda invece i funzionari dell’Ue, vige l’obbligo previsto dallo statuto, che, essendo un regolamento comunitario, ha forza di legge, in base al quale il funzionario deve astenersi da qualsiasi atto o comportamento che possa menomare la dignità della sua funzione.

Secondo le regole vigenti per la funzione pubblica Ue – che potrebbe a mio avviso ispirare le condizioni di pubblica manifestazione del pensiero per gli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia italiane, ma anche per altre categorie, come magistrati e diplomatici – , il funzionario Ue ha certamente diritto alla libertà di espressione. Che è tuttavia condizionata al «rispetto dell’obbligo di lealtà e imparzialità».

Ed il funzionario Ue che intenda pubblicare o far pubblicare, solo o in collaborazione, un qualsiasi documento il cui oggetto riguardi l’attività (che è molto larga) dell’Unione, il funzionario ha il «dovere di informarne preliminarmente la gerarchia». Gerarchia (Autorità Investita del Potere di Nomina, per essere corretti) che, qualora sia in grado di dimostrare che la pubblicazione prevista è di natura tale da «compromettere gravemente gli interessi legittimi dell’Unione, deve informare il funzionario per iscritto della sua decisione entro un termine di 30 giorni lavorativi a decorrere dal ricevimento dell’informazione».

Un ricordo a Sinistra ed un monito a Destra

Ultima notazione, per la memoria di chi, prevalentemente per ragioni ideologiche, a differenza di chi scrive, ha duramente attaccato Vannacci, a mio avviso solo perché nel suo libro ha scritto cose scomode alla Sinistra, è che Vannacci, per difendersi, si appella ad una errata interpretazione di norme volute dalla sinistra.

Nella sua invocata, ma male interpetrata, libertà di manifestazione del pensiero, si appella ad alcune norme del codice dell’Ordinamento militare, dimenticandone e disapplicandone però altre. Si appella, in particolare, ad alcune norme che, molti forse lo hanno dimenticato, é frutto delle “Norme di principio sulla disciplina militare”. Una legge del luglio del 1978 voluta con forza prevalentemente dalle sinistre dell’epoca, finalizzate alla cosiddetta “democratizzazione” del mondo militare. Che voleva tra l’altro consentire ai militari di leva, ed ai più bassi gradi militari, di partecipare alle manifestazioni studentesche e di piazza dell’epoca.

Una legge liberale che chiuse un’epoca in cui non erano nemmeno permessi giornali di partito all’interno delle caserme, e che aprì alle rappresentanze militari, progenitrici dei sindacati militari. Ma che nessuno certamente avrebbe pensato che, quasi mezzo secolo dopo, sarebbe stata utilizzata da un grado quasi vertice dell’Esercito, ex comandante dei reparti speciali, per scrivere un libro che parla di «normalità» raziale e di genere, e di «diritto all’odio», facendo strappare le vesti a chi, da sinistra, denuncia ora odore di fascismo, razzismo ed omofobia nelle Forze Armate.

Occhio quindi, a destra, a non insistere troppo sulla libertà indiscriminata di pubblica manifestazione del pensiero per i generali in servizio. Perché potrebbero correre il rischio di pentirsene tra una decina d’anni. O forse meno.

Ma, soprattuto, occhio a dimenticare che Forze Armate e Forze di Polizia sono patrimonio di tutti. E vanno tenute fuori dalla lotta politica. Nell’interesse di tutti.

 

 

 



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