La Cina stressa la situazione attorno alle isole Kinmen, prima linea del fronte con Taiwan. E così la tattica da zona-grigia di Pechino mira anche a evitare legami tra taiwanesi e cinesi
Due settimane dopo l’incidente in cui sono morti due pescatori cinesi mentre erano inseguiti dalla guardia costiera taiwanese, la tensione rimane alta nelle acque intorno a Kinmen — un gruppo di isole periferiche controllate da Taiwan, ma situate a pochi passi dalle coste della Cina e da sempre primissima linea del fronte tra Pechino e Taipei.
Le navi della guardia costiera cinese sono ormai di casa nell’area, con incursioni sempre più frequenti nelle acque vietate o ristrette di Taiwan — designazione che Pechino rifiuta, e dunque utilizza quelle navi, così come le incursioni di aerei militari, per ricordarlo (sottolineatura espressa anche venerdì nella conferenza stampa quotidiana del ministero degli Esteri: “Non ci sono zone off-limit per noi”). Farlo serve anche a spostare costantemente a proprio vantaggio lo status quo.
Il ministero della Difesa taiwanese sostiene che nelle ultime 24 ore ci sono state almeno 11 navi militare cinesi attorno alle Kinmen: sono almeno il doppio rispetto al solito. È per questa ragione che ai pescatori dell’isola è stata chiesta attenzione massima, o meglio pazienza. Taipei ha emesso restrizioni temporanee delle attività ittiche, le escursioni turistiche sono state limitate e il monitoraggio della Guardia Costiera incrementato.
Gli agenti visitano ogni barca prima che salpi e avvertono i capitani di non inoltrarsi nelle acque cinesi; chiedono di non scivolare in provocazioni eventuali, di allontanarsi e soprattutto di evitare contatti con la Cina. Il timore è ovvio: in una condizione in cui è noto l’interesse cinese nell’annettere Taiwan — considerata dalla dottrina storica del Partito/Stato una provincia ribelle da riconquistare — ogni occasione può essere un pretesto, soprattutto in questo stato infiammato delle relazioni.
La situazione delle Kinmen è anche un buon racconto di resilienza, o di abitudine alla tensione. In questo periodo di bassa stagione turistica, chi vive in quelle isole affronta la vita quotidiana a ritmi più rallentati, ed emerge consapevolezza e accettazione del contesto. Vivere in uno storico fronte di contatto è parte della normalità di quelle persone. “Non ci sentiamo affatto nervosi. Non sono affari nostri. È solo una lotta tra Taiwan e la Cina continentale”, spiega alla Cnn un businessman in pensione, riassumendo un senso del destino e soprattutto delle priorità che spesso sfugge quando si parla di Taiwan.
Per gran parte della Guerra Fredda, le Kinmen sono state teatro di feroci attacchi da parte delle forze comuniste guidate da Mao Zedong, che hanno cercato di prendere il controllo delle isole con molteplici assalti anfibi e ripetuti bombardamenti. I bombardamenti si attenuarono di ritmo e intensità alla fine degli anni Settanta: le stime indicano che circa un milione di proiettili di artiglieria abbiano colpito le Kinmen, che coprono un’area grande poco meno del doppio di Pantelleria. All’inizio del secolo, quando le tensioni si sono allentate e le relazioni tra Pechino e Taipei sono brevemente sbocciate, entrambe le parti hanno visto nelle Kinmen un potenziale canale di scambio pacifico. Nel 2001 è stato anche avviato un servizio di traghetti tra Kinmen e Xiamen, la città più vicina alla costa cinese. La più grande delle Kinmen è diventata un’attrazione popolare per i visitatori cinesi.
Ma le cose sono cambiate in fretta. Pechino, che adesso incolpa Taipei per la morte dei due pescatori cinesi, ha costantemente aumentato gli show of force. E ora, insieme alle 11 navi, ci sono stati 15 pattugliamenti aerei che hanno volato attorno alla Air Defense Identification Zone e altrettanti hanno inquadrato più da lontano le Kinmen. Il governo cinese ha dichiarato ieri che i suoi pattugliamenti intorno alle isole Kinmen sono “reprensibili” e ha respinto le denunce taiwanesi, respingendo le accuse di Taipei secondo cui l’abbordaggio di un’imbarcazione turistica taiwanese da parte delle autorità cinesi, nei giorni scorsi, avrebbe causato panico.
La Cina sta usando la vicenda dei due pescatori morti per procedere in quelle che vengono definite tattiche “grey-zone”, attività di pressione e coercizione che si fermano a un livello controllato appena prima dello scontro militare (sono le stesse usate con le Filippine per esempio, quando le imbarcazioni di Manila vengono colpite dalla Guardia Costiera Cinese). È un logorio costante, che passa anche da un’attività di osservazione continua — otto palloni-spia cinesi sono stati segnalati soltanto nelle ultime 24 ore, mai così tanti. Ad agosto 2022, le Kinmen furono teatro di un altro evento di quest’erosione continua dello status quo indotta dalle pressioni cinesi, quando un drone inviato dal PLA di Pechino fu abbattuto sopra le isole.
Alzare la tensione nell’aerea è anche una tecnica sofisticata contro il turismo locale con una ragione strategica. Quelle tra Xiamen e Kinmen sono gli scambi più attivi tra Cina continentale e Taiwan. Dovevano servire per creare un ulteriore legame nel momento in cui Pechino usava certe aperture come forma di influenza per raggiungere la cosiddetta “unificazione pacifica”. Adesso che cresce a Taiwan un sentimento nazionalista che crede nell’autonomia (fino all’indipendenza totale), quei link rischiano di avere effetto opposto: con scambi e contatti, i cinesi delle regioni costiere davanti a Taiwan potrebbero essere sensibilizzati alle istanze taiwanesi. Non è buono per la narrazione del Partito.