Decreto dopo decreto, il governo plasma il nuovo sistema tributario. Ad oggi sono nove i provvedimenti attuativi della delega approvati, ma la strada è ancora lunga. Ora l’obiettivo è l’enorme magazzino di cartelle, oltre 1.200 miliardi, e le semplificazioni per le grandi imprese, quotate in testa
Miglio dopo miglio, il fisco italiano cambia pelle. Dalla riscossione alle imprese, passando per le partite Iva, una delle più complesse e, talvolta, spaventose macchine della Pubblica amministrazione, sta lentamente mettendosi al passo coi tempi. Certo, non è tutto oro quel che luccica, il lavoro da fare è ancora molto, anche perché con un debito pubblico di 2.800 miliardi e un deficit (2023) al 7,2% del Pil, lo spazio di manovra è poco. E per quanto si possa lavorare con squadra e compasso sui saldi, i margini rimangono ridotti.
Ad oggi sono nove i decreti legislativi della delega approvata da Camera e Senato nell’estate del 2023 ma, come anticipato da Maurizio Leo, viceministro dell’Economia e gran tessitore della riforma tributaria, ne sono in arrivo altri due. Ad oggi molto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare. Il filo conduttore del riassetto, come ricordato più volte dallo stesso Leo, è ristabilire la collaborazione tra contribuente e amministrazione, tentando di rassicurare il primo e smorzando l’approccio muscolare della seconda.
Ebbene, ad oggi, come detto, sono già nove i decreti approvati dal governo e sette sono quelli già pubblicati sulla Gazzetta ufficiale che spaziano dall’Irpef a tre aliquote al concordato preventivo, dalle semplificazioni allo Statuto del contribuente, dalla fiscalità internazionale alla cooperative compliance. Il conto sale a otto se si aggiunge il decreto attuativo sulla riforma delle sanzioni amministrative e penali tributarie approvato e solo in attesa della bollinatura finale della Ragioneria per essere promulgato dal Capo dello Stato. C’è poi il nono decreto, quello sulla riforma dei Giochi che ha incassato il via libera delle commissioni Finanze delle Camere per l’approvazione definitiva in seconda lettura del Consiglio dei ministri.
Uno degli ultimi tasselli ha riguardato proprio la riscossione e il meccanismo sanzionatorio per chi è in ritardo con le tasse. Qui la ratio è quella di allargare le maglie, intervenendo sull’attuale sistema, che per bocca dello stesso Leo ha sanzioni “da esproprio”, come nel caso dell’Iva dove si va dal 120 al 240%. Per questo si è deciso di allineare le sanzioni al livello europeo, arrivando al massimo al 60%, escludendo frodi e truffe. Ora all’orizzonte c’è un altro intervento, quello sulle imprese quotate.
Le quali, non è certo un mistero, hanno un gran bisogno di certezza, soprattutto in ottica investimenti. “La riforma fiscale”, ha chiarito lo stesso Leo “riguarda anche il settore delle società quotate con l’obiettivo di arrivare alla certezza del diritto, ad esempio nella determinazione del reddito. Le quotate applicano i principi i contabili internazionali che lasciano gli spazi d’ombra e questa incertezza nella determinazione del reddito potrebbe portare l’amministrazione finanziaria a segnalazioni alla Procura della Repubblica per infedele dichiarazione. Questo non deve succedere”.
L’undicesimo decreto, invece, dovrebbe toccare ancora la riscossione. E qui il governo conta soprattutto di tagliare il magazzino della ex Equitalia in cui sono stipati 1.206 miliardi di crediti di cui ancora riscuotibili forse solo poco più di 60 miliardi. L’idea allo studio sarebbe quella di cancellare dichiarandoli inesigilbili tutti quei crediti che dopo cinque anni non sono stati incassati dall’agenzia Entrate, nonostante i tentativi e l’invio delle cartelle. Altro intervento di rilievo è quello che punta a cancellare il ruolo puntando al cosiddetto ruolo esecutivo mentre per i contribuenti allargare il più possibile l’accesso alla rateizzazione dei debiti fiscali e contributi fino a 120 rate.
Nell’attesa che, per tornare infine a quanto già approvato, si quantifichi con certezza la cubatura del gettito derivante dal concordato preventivo per le Partite Iva. Il decreto delegato varato dal Parlamento e che recava in dote il concordato, infatti, non contabilizzatava le risorse che proverranno dall’accordo tra Agenzia delle Entrate, imprese e autonomi. Nelle prime versioni si puntava a un incasso di 1,8 miliardi, ma poiché la platea è stata allargata – includendo sia coloro che si trovano al di sotto del punteggio Isa 8 sia i forfettari è lecito aspettarsi un potenziale raddoppio verso i 4 miliardi. Soldi che andranno a finanziare il resto della riforma fiscale.