Cinque testimonianze di dissidenti del regime russo che raccontano la resistenza a Putin, ma soprattutto restituiscono l’immagine di una società civile che non si è piegata alle logiche dell’oppressione. Il libro di Varese (docente di Oxford) e di Franceschelli conferma l’esigenza di continuare a sostenere la resistenza ucraina
È una raccolta di voci dissidenti. Cinque testimonianze di chi ha il coraggio di dire no. E che si oppone, ostinatamente, al nero stivale del regime putinista cercando di non farsi schiacciare. La Russia che si ribella, edito da Altraeconomia è idealmente un viaggio che parte da lontano. All’indomani dell’invasione russa in Ucraina. Federico Varese, docente di criminologia a Oxford, intellettuale e profondo conoscitore della Russia, assieme a Maria Chiara Franceschelli ha fatto un lavoro molto prezioso. E l’elemento che arricchisce il tutto è la prospettiva da cui parte il libro: la voce di chi ha subito sulla propria pelle le violenze del regime di Vladimir Putin. In uscita il 15 marzo, il libro è stato consegnato dagli autori prima della morte dell’oppositore per eccellenza, Alexei Navalny. In questa anticipazione a Formiche.net, il professor Varese spiega che il suo impegno fino all’estremo sacrificio non è stato vano.
Professor Varese, ripercorriamo la genesi del libro. Quando ha immaginato di raccogliere le storie di dissenso a Putin?
È un lavoro che parte da molto lontano. Sono anni che mi occupo di Russia, ma soprattutto all’indomani dell’avvio del conflitto causato dall’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin, decisi di contattare quattro dissidenti e di raccogliere le loro testimonianze in un longform che uscì su Repubblica. Poi, dopo quell’uscita, decisi di mantenermi comunque in contatto con loro. A questi quattro dissidenti con cui tenni i contatti, si è aggiunta una preziosa testimonianza raccolta da Maria Chiara Franceschelli che da anni studia la società civile russa.
Nel libro c’è una preziosa cronologia che ripercorre la storia della resistenza russa al regime.
Sì, c’è sia una cronologia che un glossario. Ripercorrere le tappe della resistenza russa, da quando Putin è diventato presidente della federazione russa, è importate anche per portare fuori dal cono d’ombra il movimento di opposizione a Putin che esiste nella società civile russa.
Che portata ha la resistenza e che ruolo ha avuto Navalny?
Il partito di Navalny è stato l’unico che si è dotato, nel tempo, di un’organizzazione abbastanza strutturata. Per il resto, va sempre tenuto presente che molti oppositori sono in carcere, molti ricevono pressioni molto forti anche di carattere psicologico. Nessuno è così ingenuo da pensare che un singolo movimento possa ribaltare il regime. Ma la resistenza continua e deve continuare.
Il libro ha, tra i vari meriti, quello di scardinare una credenza diffusa: ossia che tutti i russi sostengano Putin.
Esattamente. Esiste una società civile che, nonostante le pressione, non piega la testa. Pensare che tutti i russi vogliano il putinismo, è un errore madornale.
Cosa rese così efficace l’azione di Navalny, come oppositore del regime?
Lui ha avuto la grande qualità di parlare al russo medio. Ha puntato sul tema della corruzione, non essendo espressione dell’elite culturale moscovita. In termini comunicativi, ha avuto la grande intuizione di utilizzare i social e di puntare, appunto, a dimostrare che il regime di Putin è profondamente corrotto.
Arriviamo al conflitto in Ucraina. Non si intravedono, all’orizzonte, possibilità che possa risolversi in un arco temporale breve. Lei come la vede?
Innanzitutto c’è da dire che il conflitto non è, evidentemente, andato come Putin si immaginava. Lui pensava infatti di invadere l’Ucraina e di annetterla in pochi giorni. Ebbene, l’Ucraina per fortuna sta resistendo. E deve continuare a resistere. I numeri su morti e feriti russi sono agghiaccianti. E questo evidentemente indebolisce il regime. La sconfitta di Putin è possibile solamente se si continua a sostenere il popolo ucraino.
Sul sostegno militare all’Ucraina si consumano polemiche fortissime sia tra la maggioranza che nell’opposizione. Come se lo spiega?
Il caso italiano è particolarmente peculiare in effetti, nel senso che queste ambiguità esistono tanto nella coalizione di governo quanto in quella di opposizione. In tutto questo, va dato atto però sia al premier Giorgia Meloni che alla segretaria del Pd, Elly Schlein di aver mantenuto la barra ben salda a favore di Kiev. È illogico non sostenere la resistenza di Kiev e l’invio di armi. Quella che stanno facendo gli Ucraina è una lotta di liberazione, esattamente come fu da noi quella che fecero i partigiani. La resistenza va sostenuta, sempre. Sono in gioco la libertà e i valori su cui si incardina la democrazia.
Ci sono elementi nel contesto internazionale che potrebbero invertire la rotta sul sostegno convinto che fino a ora l’Occidente ha mostrato all’Ucraina?
Sono preoccupato per due appuntamenti elettorali, cruciali. Anche per noi. L’eventuale elezione di Trump alla Casa Bianca potrebbe alimentare il fronte degli scettici che sembra prendere corpo all’interno del partito Repubblicano in Usa. Allo stesso modo, l’affermazione di Le Pen, potrebbe minare la forte coesione europea.
Esiste una connessione, secondo lei, fra conflitto in Ucraina e in Medio Oriente?
In realtà si tratta di due piani e due conflitti completamente diversi. Da parte della Russia, tuttavia, c’è il tentativo di creare un collegamento con Hamas nella logica più ampia di alimentare al contrapposizione tra Nord e Sud del Mondo.