L’accordo India-Efta è un prototipo per quello che New Delhi potrebbe strutturare con l’Ue. C’è un ampio programma di investimenti che passeranno dal libero scambio. L’India si lega ulteriormente all’Europa
Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera sono Paesi differenti per struttura e tradizione, ma adesso sono accomunati dall’India, perché il blocco europeo-non-Ue a quattro ha siglato con New Delhi un accordo di tipo Trade and Economic Partnership Agreement (acronimo tecnico Tepa). L’intesa, firmata domenica 10 marzo, ha un obiettivo ambizioso: 100 miliardi di investimenti in India e la creazione di un milione di posti di lavoro.
I quattro Paesi sono gli attuali membri della European Free Trade Association, Efta: istituita nel 1960 (quando era composta anche da altri membri, mentre il Liechtenstein vi è entrato solo nel 1991) ha lo scopo di migliorare il flusso degli scambi commerciali tra alcuni Paesi che non desideravano (e non desiderano) essere parte dell’allora Cee – adesso Ue. Il ministro del Commercio indiano, Piyush Goyal, ha dichiarato che è stata “la prima volta nella storia del mondo che stiamo scrivendo un accordo di libero scambio con un impegno vincolante per investire 100 miliardi di dollari in India”. Ossia, i quattro Paesi europei stanno creando un paradigma.
Il Tepa con i quattro Paesi europei è infatti tutt’altro che banale: New Delhi ha un accordo del genere solo con gli Emirati Arabi Uniti – che sono il partner indo-abramitico di riferimento, insieme a Israele, della proiezione Go-West indiana. Si parla della riduzione tariffarie (dell’83% per l’India e del 92 per gli Efta), aumento dell’accesso al mercato e semplificazione delle procedure doganali; inoltre, per la prima volta, l’accordo di libero scambio include anche un capitolo sugli impegni per i diritti umani e lo sviluppo sostenibile. I principali settori dei servizi includono invece la finanza, le telecomunicazioni, la circolazione delle persone fisiche (Mode-4).
Chiaramente i cento miliardi sono un obiettivo, dato che gli attuali livelli di investimento sono fermi a 11 – mentre gli scambi a 19 (di cui 13 sono importazioni d’oro via Svizzera, che per altro saranno escluse dal Tepa). Ma al capitolo 7 del documento di accordo è fissato per i prossimi 10 anni il traguardo dei 50 miliardi, più altri 50 nei cinque successivi (la generazione del milione di posti di lavoro nel giro di 15 anni è un effetto conseguente alla crescita del valore degli investimenti). Passati i 15 anni, con un periodo di altri cinque di tolleranza, le parti potrebbero essere libere di svincolarsi totalmente o in parte.
Al di là dei dettagli tecnici, il valore dell’intesa è quindi di carattere politico e geopolitico. L’India si lega ulteriormente all’Europa, come da ambizione strategica, e lo fa forzando i tempi per la chiusura di un accordo che ha richiesto 21 round di incontri, con i primi contatti iniziati nel 2008. La tempistica, come dimostra il messaggio di Narendra Modi, non è casuale: il Tepa con i quattro europei è parte della campagna elettorale del primo ministro, che a fine mese cercherà alla fine del mese la riconferma.
Ciò che è più importante, è che il nuovo accordo potrebbe fungere da modello per due accordi commerciali in corso in fase di negoziazione su cui l’India si sta impegnando: uno con l’Unione europea e l’altro con il Regno Unito. Mentre Delhi lavora con Londra, l’accordo India-Efta può dunque non essere un affare isolato ma collegarsi all’intesa con l’Ue – anche perché la Svizzera ha accordi bilateri diretti con l’Unione e le altre tre nazioni Efta fanno parte dello Spazio economico europeo (See) che consente la libera circolazione di merci, capitali, servizi e persone all’interno del mercato unico dell’Ue.