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Come reagire velocemente in orbita. Dagli Usa un modello valido anche per l’Europa

Di Lucio Bianchi

Avere la capacità di lanciare satelliti su richiesta, sostituire rapidamente risorse degradate o inefficienti, rappresenta un ulteriore passaggio inteso a rafforzare la deterrenza, ed è alla base del concetto di Responsive space sviluppato dalla Space force Usa. Anche in Europa, ripensare all’impiego di una strategia di lancio spaziale reattivo, può essere il corollario di un ripensamento globale sull’architettura delle capacita spaziali militari. Il punto del generale Lucio Bianchi

Il 14 settembre 2023 alle 19:28, presso lo Space Launch Complex 2 West a Vandemberg, California, la Us Space force ha lanciato un piccolo satellite su un razzo commerciale Firefly in una dimostrazione di lancio reattivo (iniziativa comunemente nota come “responsive space”), inviando un carico utile in orbita bassa solo 27 ore dopo aver ricevuto l’ordine di lancio e conseguendo l’operatività del payload entro 37 ore dall’ordine stesso.

Le due aziende selezionate per condurre la dimostrazione della missione, nota come Victus Nox, sono state il fornitore di lancio, Firefly e il fornitore del payload, Millennium. Dal 30 agosto 2023, dopo una fase di “hot standby” di sei mesi, le due aziende sono state posizionate in una fase di attesa; che si è concretizzata con l’ordine a lanciare. Nella fase successiva allo stand by, la Space force ha inviato alle compagnie una notifica di allerta, dando il via ad una finestra di sessanta ore per trasportare il carico utile al sito di lancio di Firefly presso la base di Vandenberg, condurre operazioni di rifornimento e integrare il carico con l’adattatore del lanciatore Alpha. Firefly ha quindi avuto ventiquattr’ore (il record precedente per una missione di risposta rapida, stabilito nel 2021, era di ventuno giorni con la missione TacRL-2 e il lanciatore Northrop Grumman, Pegasus XL, basato sul velivolo Stargazer L-1011) per aggiornare la traiettoria e il software di guida, integrare il carico utile, trasportarlo sulla piattaforma, accoppiarlo con Alpha e prepararsi al lancio alla prima finestra disponibile.

Il generale Michael Guetlein, vice capo delle operazioni spaziali della Us Space force ha rimarcato il grande successo e, in riferimento alla iniziativa, ha sostenuto che lo spazio reattivo sarà comunque qualcosa di più che stabilire record di velocità di reazione: è e sarà una opzione in più, per dare maggiore resilienza alle capacita spaziali militari. Il successo di Victus Nox potrebbe anche portare a opportunità commerciali per fornire lanci a risposta rapida ma comunque sempre all’interno di una delimitata nicchia nel più ampio mercato dei lanci di piccoli satelliti. E che si tratti di nicchia lo dimostra il recente fallimento della azienda Virgin Orbit, che, a sue spese, ha dovuto imparare che i fondamentali del mercato ancora non supportano molte aziende che perseguono questa tipologia di servizi quale attività principale.

Tornando alla missione Victus Nox, la dimostrazione osservata è il frutto di una visione e di conseguenti iniziative eseguite nel tempo e potenzialmente molto promettenti, anche se mai realmente perseguite operativamente.

Nell’estate del 2005, l’allora colonnello Jay Raymond, poi divenuto, nel grado di generale , il primo comandante della Space force, prima di terminare l’assegnazione al Pentagono presso l’Office of force transformation (organizzazione, ora chiusa, incaricata di sviluppare strategie per stimolare l’innovazione in tutto il dipartimento della Difesa) insieme ad un collega, Arthur Cebrowski, ha rappresentato in un articolo intitolato “Spazio operativamente reattivo: un nuovo modello di business” una nuova visione. Nel documento si sosteneva che l’Air force, allora servizio responsabile del portafoglio spaziale del dipartimento della Difesa, doveva puntare a sviluppare un modo nuovo per soddisfare la domanda operativa di capacità spaziali, anche tattiche, in tempi più rapidi. L’obiettivo era creare un meccanismo operativo/industriale per sviluppare e lanciare più rapidamente, in un concetto che veniva descritto come spazio operativamente reattivo (responsive space).

Nel 2007, due anni dopo la pubblicazione dell’articolo, l’Air force istituì, nella base aeronautica di Kirtland nel New Mexico, l’ufficio Ors (Operationally responsive space), responsabile dello sviluppo, acquisizione e creazione di opportunità per questa tipologia di missione. La prima missione Ors, denominata Jumpstart, lanciata nel giugno 2008 su un razzo SpaceX Falcon 1, consentì di raccogliere alcune importanti conferme. Negli anni successivi però l’Air force ha dimostrato di non credere pienamente nella iniziativa e il Pentagono, pur spendendo svariati milioni di dollari, ha prima creato e poi cancellato l’Ufficio. Nel 2018, è stato stabilito di creare un nuovo Space rapid capabilities office, concentrato sempre sullo sviluppo rapido di capacità spaziali, ma con una inferiore enfasi sugli aspetti di lancio. La missione Victus Nox ha dimostrato che con la creazione della Space force avvenuta, come noto nel 2019, si è data una spinta di leadership e quel peso burocratico necessari per sviluppare un modello operativo cosi innovativo.

Questo successo è certamente anche il frutto del New space, del connesso forte slancio del settore commerciale ma soprattutto del crescente riconoscimento dell’esistenza di minacce reali alle risorse spaziali militari; ragioni che hanno fatto ritenere che la capacità “responsive” potesse superare gli ostacoli burocratici, finanziari e tecnologici che hanno rallentato questo sforzo nel corso degli ultimi due decenni. Occorre comunque dire che, mentre l’Ors è riuscito a dimostrare alcuni concetti di lancio innovativi, la base industriale e le architetture spaziali militari dell’epoca non erano ancora adatte a supportare e giustificare una tale iniziativa.

All’interno della Space force e in particolare con la creazione della Space defense agency (Sda) nel 2019, sono emersi nuovi concetti di architettura ibrida e, con la sua Prolifereted warfighters space architecture (Pwsa), cioè una grande costellazione fatta di varie centinaia di piccoli satelliti posizionati in orbite diverse ma tutti in Leo, la Sda ha dato l’avvio alla acquisizione di piccoli satelliti per i quali, a differenza dei sistemi sofisticati ed unici su cui le difese hanno fino ad ora tradizionalmente fatto affidamento, il concetto di lanci reattivi è subito sembrato adeguato per una ricostituzione o ampliamento rapido di capacità.

In Europa è noto l’intendimento di molti Paesi, compresa l’Italia, di pensare ad una capacità di ricostituzione rapida di servizi satellitari quando oggetto di attacchi e/o avarie ma direi anche per fronteggiare nuove e inaspettate capacità messe in campo dagli avversari. Avere la capacità di lanciare satelliti su richiesta, sostituire rapidamente risorse degradate o inefficienti, rappresenta un ulteriore passaggio inteso a rafforzare la deterrenza, ma non di tipo punitivo, che non porta a risultati, in particolare quando gli attacchi degli avversari sono sotto una certa “definita” soglia, bensì, attuata attraverso la “negazione di risultati”. È chiaro infatti che se l’avversario comprende che un paese è in grado di sostituire in breve tempo capacità che hanno subito degrado o addirittura distruzione, tale postura inficia il valore strategico o tattico di azioni offensive.

Il Regno Unito ha recentemente sperimentato il problema di non avere capacità accessibili di lancio reattivo nello spazio. In breve, con la guerra all’Ucraina, la Russia ha bloccato i lanci a bordo del sistema Soyuz, sequestrando di fatto un lotto di satelliti OneWeb di cui era previsto il lancio e ritardando cosi il dispiegamento della Costellazione OneWeb (già in orbita), che ora opera anche per lo MoD UK. Nell’obiettivo del Comando Spaziale del Regno Unito è scritto a chiare lettere che nel periodo 2026-2030, UK mira a garantire attraverso “partenariati”, la salvaguardia di una capacita di lancio in una modalità reattiva.
Questa ambizione sembra essere parte della
iniziativa governativa LaunchUK, il programma condotto dall’Agenzia Spaziale britannica. Oltre allo Spaceport Cornwall, il programma ha finanziato lo sviluppo di due ulteriori spazioporti commerciali per lanci verticali, che diventeranno presto operativi in Scozia, vale a dire gli spazioporti di Saxavord e Sutherland. Tuttavia, la raison d’etre di questi spazioporti è nel lancio di piccoli satelliti, in linea con l’obiettivo del Regno Unito di diventare il “fornitore leader di lanci di piccoli satelliti commerciali in Europa entro il 2030”.

La capacita di lancio responsive per il mondo difesa deve essere, però, ben altra cosa per essere credibile; in effetti, nessuno degli spazioporti può lanciare un carico utile superiore a mille chili e tutti possono posizionare questi satelliti solo in orbite polari basse. Questa condizione non consente una piena flessibilità per il ministero della difesa britannico in termini di eventuali necessita per altre quote e piani orbitali.

Specularmente, per le difese occidentali, inclusa l’Italia se, per qualche ragione, le capacita del nostro Sicral subissero un danno anche non intenzionale, poiché i satelliti di comunicazione tradizionali pesano varie tonnellate e operano in orbite geostazionarie, un lancio reattivo non offrirebbe un’opzione utile per integrare o ripristinare le capacità di comunicazione difesa.

Pensare quindi all’impiego di una strategia di lancio spaziale reattivo, può essere il corollario di un ripensamento globale sull’architettura delle capacita spaziali militari. Ad esempio, per le comunicazioni, le Difese potrebbero scegliere architetture disaggregate e differenziate (ovvero proliferate) facendo affidamento, sia su capacita posizionate in Geo che in Leo, ma con le costellazioni in queste ultime orbite idonee a strategie di ricostituzione reattiva. Le costellazioni di comunicazioni in Leo, sono infatti più leggere, più economiche da lanciare ed hanno un tasso di turnover e di learning curve più elevato, tale da consentire costi ragionevoli per la loro ricostituzione (la Sda ha acquisito i propri “piccoli” satelliti con target price nell’ordine 15-45 milioni di dollari a seconda del ruolo, a satellite). L’approccio di attuare la deterrenza per negazione basato su queste nuove architetture proliferate verrebbe peraltro perfettamente supportato dal lancio reattivo.

Visto che molti Paesi europei hanno proprie capacità in via di sostituzione, si potrebbe lavorare ad un percorso alternativo, utilizzando questa opportunità per progettare con la visione di una architettura all’avanguardia, flessibile e ricostituibile e quindi in grado di minare l’efficacia degli attacchi avversari. L’articolo dell’allora Col Raymond, rimane molto attuale e conferma l’esigenza di considerare l’adozione di un nuovo modello di business militare per affrontare le nuove minacce nello spazio.



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