Se non ci saranno errori madornali da parte del governo o della sua maggioranza parlamentare tutto rimarrà tale. Gli italiani hanno finora sperimentato ogni possibile soluzione. E alla fine Giorgia Meloni è apparsa come l’ultima spiaggia. Oltre la quale esiste, al momento, solo l’indefinito. Il commento di Gianfranco Polillo
Tutto si può dire degli italiani, ma non che non abbiano accettato la logica del cambiamento. Lo hanno fatto nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Nel sostenere con pazienza certosina la logica dell’alternanza. Centro destra e centro sinistra che di volta in volta si impossessavano delle leve del governo, al termine del precedente mandato. Hanno, quindi, accettato di buon grado “governi tecnici” chiamati a riparare i guasti prodotti da un sistema politico che recava in sé i germi della propria dissoluzione. Fino a cercare di modificare, dall’interno, gli equilibri delle due coalizioni in lotta.
Si spiegano così gli scossoni di questi ultimi anni. La grande vittoria dei 5 Stelle che, alle passate elezioni politiche, divennero il primo partito con oltre il 32 per cento dei voti. Cui seguì la breve vita di quell’ossimoro, rappresentato dal governo giallo verde: due presidenti del consiglio ombra (Matteo Salvini e Luigi Di Maio) e un terzo incomodo (Giuseppe Conte) a far da mediatore. Esperienza che comunque consentì alla Lega di sostituire i 5 Stelle nelle preferenze degli italiani, che la votarono in massa, con a percentuale superiore al 34 per cento nella tornata delle elezioni europee del 2019. Ma anche in questo caso, come in quello precedente, il consenso fu di breve durata. Nelle elezioni politiche del 2022, la Lega crollava a poco meno del 9 per cento. Con una volatilità di oltre 25 punti percentuali.
Difficile comprendere le ragioni di questi movimenti tellurici. Se non mettendo nel conto un susseguirsi di delusioni. Evidentemente l’offerta politica, dopo i facili entusiasmi elettorali, non era tale da soddisfare i palati di chi si era esposto alla possibile novità del momento. Nel panorama politico di quegli anni – siamo alla fine del 2012 – la nascita di Fratelli d’Italia era poco più di una scommessa. Alle spalle della nuova formazione politica era (ma non solo) la lunga storia della destra italiana post- fascista. A partire dall’Msi. Quindi Alleanza Nazionale. Il connubio con Forza Italia nel Popolo delle libertà. La rottura tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Elementi traumatici questi ultimi che tuttavia non spiegavano completamente la nascita della nuova formazione politica.
Le cui ragioni andavano, infatti, trovate nella crescente ostilità che si manifestò nei confronti del governo Monti, allora sostenuto anche dal Pdl. Unici oppositori La Lega e Italia di valori. Ad opporsi a quella sorta di “grande ammucchiata” furono soprattuto Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, e Guido Crosetto. Storie, almeno per quanto riguardava quest’ultimo, completamente diverse. Il legame con la più antica tradizione di destra italiana comunque restò prevalente, come mostravano i rapporti con la Fondazione di Alleanza Nazionale, che autorizzò in più occasioni l’uso del vecchio simbolo rappresentato dalla fiamma nel logo del nuovo partito.
Quest’ultimo fu, fin dall’inizio, una formazione politica tradizionale. Da Prima Repubblica, si potrebbe dire con un pizzico di cattiveria. Caratterizzata da una discussione reale all’interno di un gruppo dirigente per quanto ristretto. E di conseguenza soggetto a tutte le usure del caso. Ed ecco allora lo scontro con Gianni Alemanno, fino al suo successivo abbandono. I cambiamenti nelle posizioni apicali. La Russa presidente e Crosetto coordinatore. Finché, nel febbraio 2014, il congresso non elesse Giorgia Meloni alla presidenza del partito. Carica da allora sempre mantenuta.
In questi lunghi 10 anni, che hanno segnato la leadership di Giorgia Meloni, il partito è progressivamente cresciuto, passando dal 3,6 per cento (elezioni europee del 2014) al 26 per cento, delle ultime elezioni politiche. Una crescita continua e costante, dovuta ad un’azione politica sistematica. Attenta soprattutto a smarcarsi dall’abbraccio degli altri partiti, componenti lo schieramento di centrodestra. Con l’idea di costruire una possibile alternativa, rispetto ai suoi competitor – alleati, visibilmente avviati sulla via del tramonto. Il tutto condito con il necessario buon senso, che la portava ad evitare la via apparentemente più facile del ricorso demagogico o del coup de théâtre. Si veda in proposito il rapporto con Mario Draghi. Per cercare, per quanto possibile, di perseguire una linea di difesa degli interessi nazionali.
Indubbiamente l’evolversi della situazione internazionale, specie dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, tanto più se si considerano i tentennamenti di Salvini e di Conte, ha favorito la difficile impresa di Georgia Meloni. Consolidando la sua leadership, anche di fronte ad un’opposizione fin troppo ferma nel denunciare l’eccesso di incoerenza con le sue passate parole d’ordine (il sovranismo e l’euro scetticismo) oppure nel rinfacciarle il suo presunto post-fascismo: una sorta di inemendabile peccato originale. Critiche che non sono risultate credibili per la maggioranza relativa del popolo italiano.
Ma veramente l’analisi del sangue di Giorgia Meloni mostra un tasso di fascismo insostenibile? Chi ragiona in questo modo ha gli occhi velati dai fumi della militanza politica. Lo stesso giudizio su quel ventennio, a distanza di quasi 80 anni dalla sua fine, richiede un revisionismo, che purtroppo ancora oggi, grazie soprattutto al settarismo interessato di tanta sinistra, resta appannaggio di pochi. Senza voler minimamente sottovalutarne i suoi grandi torti storici (dalle leggi razziali all’entrata in guerra) bisognerebbe almeno tener conto delle analisi di Palmiro Togliatti. Quel suo definire il fascismo un “regime reazionario di massa” che, ancor oggi, lascia la via aperta per una reale comprensione di quel fenomeno, che fu anche, se non soprattutto, modernizzazione dell’Italietta di Giolitti & co. Seppure con un taglio di tipo giacobino.
La verità è che la storia italiana di questo dopoguerra deve essere letta ed interpretata mettendo al bando suggestioni terze internazionaliste, che ogni tanto riemergono come un torrente carsico. Dietro Giorgia Meloni, cosa che spiega il suo consenso elettorale, ci sono le vicende che hanno a che fare con il concetto di “patria”, la cui “morte” (Galli della Loggia) è stata per troppo tempo evocata da una cultura politica, in cui l’internazionalismo proletario andava a braccetto con il solidarismo ecumenico dei cattolici di sinistra. “Oltre le Alpi ed il mare un’altra patria c’è” diceva una vecchia canzone di Fausto Amodei e Franco Fortini, presentata il 24 settembre 1961, durante la prima Marcia per la pace Perugia-Assisi.
E patria non può che significare Occidente, nel momento in cui le forze del vecchio imperialismo comunista si riaffacciano minacciose sulla scena internazionale. Ed ecco allora il filo rosso che riannoda la storia italiana. Dal Risorgimento, alla Destra storica che costruì lo Stato unitario, passando anche per le modernizzazioni del fascismo, ma soprattuto per il respiro Atlantico che caratterizzò gli anni della “guerra fredda” e della costruzione europea. Senza la quale l’Italia tornerebbe ad essere una semplice espressione geografica, secondo la celebre definizione di Metternich, il cancelliere austriaco dei primi dell’800.
Questo complesso di cose contribuisce a spiegare la resilienza di Giorgia Meloni. L’idea che il vento stia cambiando, secondo gli ultimi slogan della sinistra, è poco più di un miraggio. Rimarrà tale se non ci saranno errori madornali da parte del governo o della sua maggioranza parlamentare. Come si diceva all’inizio, gli italiani hanno finora sperimentato ogni possibile soluzione. Ed alla fine Giorgia Meloni è apparsa come l’ultima spiaggia. Oltre la quale esiste, al momento, solo l’indefinito.