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Fentanyl, perché non possiamo farne a meno. L’intervista a Carlo Locatelli

“Il fentanyl è un farmaco essenziale e i pazienti che ne hanno bisogno devono averlo. Se rischiamo un’escalation come quella Usa? Impossibile, in Italia i nostri medici hanno criteri di prescrizione molto precisi, specifici e stringenti e non lo prescrivono se non per necessità reale e irrinunciabile”. L’intervista a Carlo Locatelli, direttore del Centro antiveleni ICS Maugeri di Pavia

Al centro dell’agenda politica nazionale, il dossier fentanyl preoccupa gli esperti. Sebbene in Italia non si possa parlare di emergenza al pari di altri Paesi – negli Stati Uniti ha ucciso oltre 70mila persone nel solo 2021 – il pericolo è in crescita sia sul territorio nazionale che in Europa. Arrestare il commercio e l’uso illecito del fentanyl risulta dunque prioritario, ma al contempo bisogna garantire la sua disponibilità per coloro i quali ne hanno bisogno per scopi terapeutici. I fentanili, infatti, sono utilizzati per trattare il dolore in forma grave, specialmente in chirurgia, traumatologia e oncologia e, più in generale, per le patologie di dolore cronico. Come agire, dunque? Ne abbiamo parlato con Carlo Locatelli, direttore del Centro antiveleni ICS Maugeri di Pavia, fra gli attori impegnati nelle attività di prevenzione e contrasto alla diffusione di sostanze illegali in Italia citati nel Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di fentanyl e di altri oppioidi sintetici presentato lunedì in Consiglio dei ministri.

Abbiamo parlato moltissimo dei pericoli causati dal fentanyl se adoperato come stupefacente. Ma quali sono invece le sue indicazioni terapeutiche? A chi viene prescritto e in quali casi?

Il fentanyl è un farmaco essenziale, assolutamente. Necessario innanzitutto per tutti gli interventi chirurgici: insieme alla morfina impedisce o limita il dolore nei pazienti. Consente, insomma, di poter intervenire chirurgicamente, utilizzato in ambito ospedaliero sia per l’anestesia che per l’analgesia.

E nell’uso extra ospedaliero?

Per il trattamento di tutti quei dolori cronici secondo indicazione medica. È chiaro che un oppioide non viene prescritto a tutti, ma quando viene prescritto vuol dire che ce n’è veramente bisogno.

Quindi non c’è il rischio che venga prescritto anche in casi non strettamente necessari?

Non in Italia. Ne nostro Paese, anzi, l’utilizzo del fentanyl è disposto in maniera molto corretta. I nostri medici hanno criteri di prescrizione precisi, specifici e stringenti e non lo prescrivono a nessuno se non per necessità reale e irrinunciabile. E anzi viene prescritto con indicazioni di assunzione e tempistiche di somministrazione definite e limitate al tempo strettamente necessario. E sotto il costante controllo medico. Da noi, insomma, non potrebbe mai accadere quanto accadde ad esempio decadi fa negli Stati Uniti con l’ossicodone.

E in oncologia in quali casi viene utilizzato?

In tutti i casi in cui i pazienti hanno dolori importanti. E in questi casi i pazienti possono e devono poterne disporre. Per il medico il dolore è un nemico, sia clinicamente che psicologicamente, per cui è nostro dovere evitare che le persone e i pazienti abbiano dolore.

In un’ottica rischio/beneficio, quindi, esclude l’ipotesi di limitare la produzione dei fentanili per scopi terapeutici al fine di limitarne anche un uso illecito?

Assolutamente sì. Tra l’altro i fentanili hanno meno effetti collaterali di tanti altri farmaci. Se usati nelle modalità indicate da prescrizione, non c’è alcun motivo per limitarne la produzione.

E l’utilizzo illecito del fentanyl rischia di mettere in crisi la disponibilità del farmaco per chi ne ha bisogno per ragioni terapeutiche?

No, perché quello che viene utilizzato per scopi illeciti è prevalentemente prodotto illecitamente. E se anche una quota viene deviata dall’utilizzo corretto a quello non corretto, si tratta di una quota minimale. È chiaro che anche questa deve essere controllata, come lo stesso Piano del dipartimento per le politiche antidroga prevede, ma non credo che possa rappresentare una minaccia per l’approvvigionamento a scopo terapeutico.

Inizialmente proveniva prevalentemente dalla Cina. E ora?

Per tanto tempo il fentanyl è venuto fuori principalmente dalla Cina, è vero. Poi gli Stati Uniti hanno manifestato una ferma presa di posizione, chiedendo a Pechino di limitarne ogni produzione. E sebbene la Cina abbia effettivamente limitato la produzione delle aziende in grado di controllare, mi viene difficile pensare o credere che in Cina sia tutto controllabile, francamente…

Quindi viene ancora dalla Cina?

Credo che possa esserci ancora una produzione in laboratori illegali o comunque non controllati. Anche perché la sua produzione è molto semplice. Del resto, quando parliamo di fentanyl, sbagliando, facciamo riferimento a un’unica molecola. E invece le molecole per scopo terapeutico sono tre o quattro, mentre quelle per uso stupefacente sono addirittura centinaia. È chiaro, poi, che ci sono altre zone da cui arriva il fentanyl, come ad esempio l’America centrale. Ma non dimentichiamo che abbiamo individuato dei laboratori di fentanyl anche in Europa.

Secondo lei cosa bisogna fare per impedire che in Italia ci sia una escalation pari a quella oltreoceano?

Cosa bisogna fare lo spiega il Piano, che tocca tutti i punti focali per evitare un disastro. Si tratta di un’operazione di prevenzione importantissima e di grande rilievo. Anzi, direi che si tratta della prima operazione così grande sul piano sanitario, anche dal punto di vista della collaborazione che mette in atto, coinvolgendo tutti gli attori istituzionali e sanitari. Un segnale che l’Italia ha capito che non si deve più chiudere la stalla quando i buoni sono scappati, ma prima.

Un insegnamento del Covid?

Forse sì, perché no. Non dimentichiamo che la diffusione del fentanyl per scopi illeciti può avere conseguenze tragiche al pari della pandemia, sia sul piano economico ma soprattutto sul piano umano.



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