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La lunga marcia Ue verso il mercato unico dei capitali. L’analisi di Zecchini

Bce ed Eurogruppo tornano a parlarne per accelerare il passo verso un’effettiva integrazione dei mercati nazionali. Il rischio di un piano, senza incentivi e impegni, è che ogni progresso sia rimesso alla buona volontà dei Paesi, a meno che intervenga un nuovo shock. L’analisi di Salvatore Zecchini

In Europa si torna a parlare a livello istituzionale di unificazione dei mercati finanziari dei Paesi membri in un unico ambiente governato da regole comuni e vigilato da autorità comuni. Il tema è stato ripreso dai due massimi organi finanziari e monetari dell’Unione europea, la Banca centrale europea e l’Eurogruppo nella formazione a 27 ministri delle Finanze, nella prospettiva di accelerare il passo verso un’effettiva integrazione dei mercati nazionali. L’integrazione è vista come condizione per rilanciare la competitività e l’efficienza dell’economia europea. Il confronto è con la grande vitalità del mercato americano, che attrae grandi e piccoli investitori dall’Europa come da altre parti del mondo, in quanto più degli altri si avvicina a quelle caratteristiche di ampiezza di partecipanti, profondità, resilienza e liquidità che si attribuiscono a un mercato efficiente. Non si tratta semplicemente di dimensioni, considerato che quello americano (51.000 miliardi di dollari circa) mobilizza quasi il doppio del mercato europeo (27.000 miliardi di euro circa), ma di efficienza nei servizi.

Le dichiarazioni della Banca centrale europea e dell’Eurogruppo si sono susseguite nel giro di pochi giorni e propugnano la stessa linea d’interventi giudicati necessari per fare il miglior uso dei risparmi e dei capitali in funzione degli investimenti per lo sviluppo dell’economia europea. Entrambi gli enti si dilungano sulle ragioni per cui bisogna agire con urgenza e maggiore impegno del passato, pur riconoscendo che è un progetto di lungo termine che deve affrontare molti aspetti di struttura dei mercati e di infrastrutture relative. La Banca centrale europea, in particolare, lo vede come uno strumento per facilitare la crescita di imprese innovative e l’avanzamento tecnologico, supporto al ruolo internazionale dell’euro, mezzo per stabilizzare la crescita nel caso di shock locali attraverso una più ampia diversificazione dei rischi, facilitatore dell’unione bancaria verso cui non si riesce ad avanzare, e maggiore apertura dell’accesso delle imprese al capitale di rischio.

I ministri vi aggiungono la capacità di un mercato unico di attrarre più consistenti flussi di capitale e di ampliare sia le fonti di finanziamento delle imprese, sia le opportunità d’impiego dei risparmi. Andando oltre, la loro prospettiva si estende a un rilevante aspetto sistemico: mentre il grosso del finanziamento delle imprese poggia attualmente sul ruolo del credito bancario, l’Eurogruppo mira a bilanciarlo promuovendo la crescita di un’alternativa altrettanto valida, rappresentata dalla possibilità di ricorrere a un mercato unico dei capitali, che sia liquido, efficiente, “profondo” e aperto verso l’esterno.

Un’altra importante differenza tra le dichiarazioni della Banca centrale europea e dell’Eurogruppo sta nel diverso accento sull’esigenza di armonizzare le regole e la supervisione dei mercati nazionali. La prima parla apertamente di necessità di proseguire nell’armonizzare le norme sull’insolvenza delle società, i quadri di contabilità di bilancio, e la disciplina degli strumenti finanziari. L’armonizzazione andrebbe estesa alla gestione delle ritenute fiscali e dei servizi “post-trading”, ai requisiti per la quotazione in borsa e alle procedure per l’emissione e le altre operazioni sui titoli.

L’Eurogruppo, invece, menziona l’armonizzazione in maniera mirata, ovvero su singoli punti, in specie per le quotazioni in borsa e per il quadro delle regole di contabilità di bilancio nell’intento di facilitare il confronto delle informazioni sulle società di diversi Paesi. Per il resto, parla di convergenza, in particolare, per le procedure di insolvenza e la supervisione dei mercati finanziari, in questo caso facendo miglior uso delle autorità di vigilanza a livello dell’Unione europea e possibilmente rafforzandone il ruolo. Questa differenza di accenti dà l’idea di quanto faticoso e lungo sia il processo di smantellamento delle barriere esistenti tra Stati membri per arrivare a stabilire regole comuni e a gestirle con una singola autorità. Ciascun Paese tende a preservare le peculiarità nazionali, che sono tra l’altro il riflesso della diversità dei comportamenti degli operatori e dei contesti istituzionali che danno un’impronta ai mercati.

Entrambe le istituzioni entrano nella definizione delle priorità operative, richiamandosi al Piano di azione varato dall’Unione europea nel 2020, che si basa sull’esperienza del primo piano del 2015. La Banca centrale europea dichiara apertamente che bisogna passare da un approccio frammentato a uno complessivo che sia tracciato con decisione dalle autorità alla luce delle esigenze di sistema (top-down approach). Si concentra in particolare sulle misure dirette a potenziare i mercati delle cartolarizzazioni dei crediti e sulla necessità di affrontare il problema degli effetti distorsivi dei regimi fiscali, che spingono le imprese a preferire l’indebitamento rispetto al rafforzamento della base di capitale di rischio.

L’Eurogruppo traccia un piano più dettagliato di misure prioritarie che affrontano il tema da tre angolazioni: l’architettura di sistema, le imprese e i cittadini. Sotto il primo profilo, l’attenzione è puntata sul quadro regolatorio, i sistemi di vigilanza e sull’integrazione delle infrastrutture dei mercati. Si chiede di semplificare le regole e di alleggerire il costo dell’operare sui mercati. Sulla vigilanza dei mercati si parla di avanzare verso la convergenza nelle regole e negli approcci e nella valutazione dei loro costi e benefici, sempre in consultazione con le autorità nazionali e le istituzioni finanziarie. Evidentemente è un approccio molto cauto nella sostanza, eccetto che per il mercato delle cartolarizzazioni, per cui si chiede alla Commissione europea un’indagine sugli ostacoli al suo sviluppo e su questa base considerare proposte d’intervento da sottoporre per le decisioni.

Analoghe indagini sono chieste per gli impedimenti derivanti dalle differenze nelle normative sull’insolvenza e sulle infrastrutture di mercato. L’obiettivo è favorire la mobilità dei capitali tra Paesi membri e l’integrazione dei mercati nazionali attraverso fusioni o acquisizioni, con il risultato di rendere più conveniente il finanziamento delle imprese attraverso i mercati azionari e obbligazionari. Appare evidente con quanta cautela si vuole progredire su questo terreno, in cui all’esigenza di maggiore apertura agli investimenti oltre i confini nazionali si contrappone l’intento del Paese di preservare una capacità di trattenere i capitali o risparmi nell’ambito nazionale, piuttosto che facilitare la ricerca di migliori opportunità nel più ampio quadro europeo.

Nella realtà, la diversità di atteggiamento dei Paesi nella tutela dell’interesse degli investitori/creditori nelle procedure d’insolvenza, che si manifesta per esempio nelle norme sull’innesco delle dichiarazioni d’insolvenza e sull’ordine di prelazione dei creditori, tende a scoraggiare l’impiego in strumenti finanziari disciplinati da altri Paesi. Questa contraddizione appare anche nell’attuale atteggiamento delle autorità italiane. Da un lato approvano l’azione per un mercato unico europeo in cui i capitali possono circolare liberamente a parità di condizioni, dall’altro lato operano per invogliare la massa dei piccoli risparmiatori italiani a comprare titoli del debito pubblico italiano, consentendo una copertura più favorevole del suo fabbisogno finanziario. In questo periodo si è visto che con emissioni di titoli riservati ai piccoli risparmiatori si è riusciti a elevare la quota di debito pubblico in mano agli italiani.

La mobilità dei capitali in un mercato unico, peraltro, è una delle condizioni per la sostenibilità di un’unificazione monetaria in quanto area monetaria ottimale. L’ottimalità deriva dalla possibilità dei capitali privati interni all’area di andare a finanziare, secondo l’operare di mercati efficienti, i disavanzi di un Paese membro, che non dispone più della leva dell’aggiustamento del tasso di cambio della sua moneta, né del sostegno di un bilancio comunitario. Frenare questi spostamenti con impedimenti di mercato conduce alla lunga all’insostenibilità dell’unificazione manetaria.

Nell’ottica di promuovere un’equilibrata struttura di finanziamento delle imprese, comprese quelle di medie dimensioni, l’Eurogruppo mira ad accrescere l’investimento nel capitale di rischio da parte sia dei risparmiatori, sia dei finanziatori istituzionali. Si tende a intervenire, in specie, sulle regole e sul trattamento fiscale degli impieghi in strumenti di venture capital diretti a finanziare l’espansione di imprese innovative ad alto contenuto tecnologico. In concreto, si prospetta il lancio di una nuova iniziativa europea che facendo leva su strumenti di cofinanziamento pubblico-privato aiuti queste imprese a uscire dalla fase di venture capital per consolidarsi come campioni tecnologici globali. Il modello di riferimento è dato dall’European Tech Champions Initiative, che è un fondo dei fondi con una dotazione iniziale di 3,7 miliardi e con l’ambizione di mobilitare più di 10 miliardi di investimenti privati nella crescita di start-up tecnologiche.

Sul versante dei risparmiatori, la priorità è posta nel creare un ambiente in cui possano disporre di un più ampio ventaglio di opportunità d’investimento, che va oltre i confini nazionali, e possano partecipare maggiormente agli impieghi nei mercati azionari e obbligazionari. Quindi si tende verso una cornice di regole comuni, che facilitino l’accesso e l’operatività dei risparmiatori nei mercati e in cui si costruiscano prodotti per l’investimento che siano validi e semplici da trattare su tutti i mercati dell’Unione europea. Si chiede, in particolare, alla Commissione di considerare la possibilità di ampliare e migliorare come opzione di previdenza complementare il Pan European Pension Product, strumento d’investimento disegnato dall’autorità europea EIOPA, che può essere emesso da una ampia categoria di istituti finanziari e assicurativi, rispondente a predeterminate caratteristiche particolarmente vantaggiose e valido in tutta l’Unione europea. Alla base degli interventi a favore dei risparmiatori rimane, nondimeno, l’impegno dei Paesi a migliorarne e diffondere le conoscenze finanziarie, proteggerne la sicurezza degli impieghi e farne evolvere la “cultura” verso la partecipazione ai mercati.

Nell’insieme il piano d’azione dell’Eurogruppo appare come l’ennesimo tentativo di accelerare il lungo cammino verso l’integrazione finanziaria in un mercato unico, ma senza incentivi, né impegni cogenti a superare i molti ostacoli esistenti. Come nel caso dell’unione bancaria che è in ritardo di anni, ogni progresso è rimesso alla buona volontà dei Paesi, a meno che intervenga un nuovo shock che sproni a vedere nell’unificazione dei mercati vantaggi per tutti i membri di gran lunga superiori ai costi dell’armonizzazione.



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