Per tentare di contrastare la fuga dei capitali, il partito impone a chi sbarca in Borsa di reinvestire gli utili nel Dragone, superando una sorta di test di attaccamento alla maglia. La produzione industriale sale del 7% ma il mattone continua a rappresentare un problema
Il sorpasso dell’India sulla Cina è ormai una realtà. E non solo perché Nuova Delhi tira più di Pechino in termini di Pil, ma anche perché le piazze finanziarie indiane sono decisamente più gettonate di quelle cinesi. La fuga di capitali che ha drenato certezze e ricchezza dalla Cina in questi ultimi mesi, ha nei fatti spostato il baricentro delle Ipo in Asia, posizionandolo sull’India. Ora però il partito comunista ha deciso di risolvere la questione alla sua maniera, nella speranza che sia quella migliore: alzare il livello di qualità e fedeltà di chi sceglie di quotarsi a Shanghai o Schenzen. Basta con gli investitori fuggiaschi alla prima avvisaglia di tempesta, chi decide di portare i propri capitali sui listini cinesi deve dare garanzia di tenuta e permanenza.
E così, come ha rivelato Bloomberg, il governo ha diramato una serie di regole che rafforzano il controllo sulle quotazioni in borsa, sulle società pubbliche e sui sottoscrittori. Nel dettaglio, i regolatori esamineranno più da vicino le offerte pubbliche iniziali, le Ipo, reprimeranno duramente le frodi sui titoli e incoraggeranno le aziende quotate ad aumentare i dividendi e a riacquistare azioni, dunque a reinvestire gli utili nell’economia della Cina stessa. L’obiettivo è quello di rendere il mercato dei capitali cinese “sicuro, regolamentato, trasparente, aperto, vivace e resistente”, ha dichiarato Li Chao, vice presidente della China Securities Regulatory Commission (Csrc), in una conferenza stampa a Pechino.
A questo punto, le richieste di quotazione saranno vagliate rigorosamente per impedire alle aziende di raccogliere fondi in modo eccessivo e poi liberarsene, mentre le frodi contabili e le false dichiarazioni saranno severamente punite. Non solo. Verrà impedito ai grandi investitori anche di ricorrere alla pratica dello short selling, le vendite allo scoperto, che spesso danno luogo ai crolli sui listini.
Tutto questo mentre il mattone continua a rappresentare la vera spina nel fianco della Cina. Perché, se è vero che la produzione industriale a febbraio è cresciuta del 7% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, secondo le statistiche ufficiali, ben al di sopra della previsione del 5% degli analisti, è altrettanto vero che gli investimenti immobiliari sono diminuiti del 9%, continuando a pesare sulla crescita della Cina. I dati pubblicati hanno mostrato un calo dei prezzi delle case nelle principali città cinesi, nonostante un taglio record dei tassi ipotecari.
Tradotto, escludendo il settore immobiliare, gli investimenti cinesi sarebbero cresciuti dell’8,9%, alimentati in gran parte dalla spesa in progetti infrastrutturali e nella produzione ad alta tecnologia. Che il mattone sia la vera ipoteca sull’economia del Dragone, è fin troppo noto. L’ennesima prova? Dopo il disastro di Evergrande, sull’economia cinese incombe il default di un altro gigante dell’immobiliare, Vanke. Ma questa volta, dicono gli esperti, sarebbe un colpo fatale per la seconda economia del Pianeta. Una voragine colossale. Per avere un dato, basti dire che lunedì l’agenzia di rating internazionale Moody’s ha retrocesso a spazzatura i titoli di quello che, una volta, era un colosso societario stimato e rispettato, non solo in Cina ma anche all’estero.