Lo Stivale cresce più di molti suoi cugini d’Europa, a cominciare da quelli tedeschi, grazie a una marcata inclinazione alla competitività e una produttività decisamente più tonica. I mercati soffiano a favore del Paese e anche questa non è magia. La riforma fiscale? Il vero condono è non aver affrontato finora il problema. Intervista al presidente della Commissione Finanze della Camera, Marco Osnato
Sì, forse la crescita italiana, come sostiene Confindustria, si è presa una pausa di riflessione e tornerà a macinare terreno tra qualche mese. Ma a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, c’è da tranquillizarsi. L’inflazione è allo 0,8%, per il secondo mese consecutivo (gennaio e febbraio), lo spread, termometro della fiducia dei mercati verso l’Italia, è ai minimi da due anni. Il mercato del lavoro continua a tirare, più mezzo milione di posti nel 2023, 447 mila solo in questo mese di marzo, mentre il Pil nel 2024, stime della Commissione europea, aumenterà dello 0,7%. Dato non proprio esaltante, ma pur sempre migliore di quello tedesco (0,2%).
Il grande problema rimane il deficit, principale cruccio del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Anche se qui c’è l’attenuante, che si chiama Superbonus, vera e propria mina per i conti pubblici. Anche per questo la riforma fiscale che il governo di Giorgia Meloni sta portando avanti ha assume una valenza doppia: dalla sua riuscita, la missione è riavvicinare il contribuente allo Stato, senza spaventarlo e portandolo su un sentiero di collaborazione, dipenderanno gli incassi e dunque la sostenibilità stessa dei conti pubblici. Proprio di quest’ultima questione, ma non solo, Formiche.net ha parlato con Marco Osnato, presidente della Commissione Finanze della Camera.
L’Italia, almeno per quest’anno, crescerà più della Germania. C’è chi ha fatto notare come, tirando le somme, lo Stivale se la passi meglio di tanti altri partner europei. Come stanno le cose?
Non capisco perché dobbiamo tanto stupirci di questo. Il debito pubblico è certamente un problema in Italia, ma ci dimentichiamo che se togliamo i tassi di interesse, ovvero il costo del debito stesso, l’esposizione italiana è meglio di quella tedesca. Poi c’è il tema della produttività, che è decisamente migliore di tante nazioni europee, inclusa la Germania.
Un miracolo italiano…
Nessun miracolo ma pura e semplice capacità delle imprese italiane di essere competitive. Ora, per fortuna, c’è un governo che asseconda questa forza motrice delle aziende.
Lo spread tra Btp e Bund è ai minimi da due anni. Anche qui c’è una precisa ragione?
La tenuta dei conti pubblici è un fiore all’occhiello di questo governo. La credibilità dell’Italia e del suo esecutivo ha dato dei risultati sui mercati. Poi, per essere onesti da un punto di vista intellettuale, i bund tedeschi non sono particolarmente performanti in questo momento e questo ovviamente impatta sul rapporto con i Btp. Ma ciò non va a demerito dell’Italia, anzi.
La riforma fiscale che il governo, decreto dopo decreto, mira a riavvicinare il contribuente all’amministrazione, lavorando sul versante della collaborazione. Sarà bene che il gioco riesca, ne va della tenuta dei nostri conti…
Mettiamo subito in chiaro una cosa. La riforma introduce semplificazione, sburocratizzazione, parità tra contribuente e fisco. Il fisco non incombe più sul contribuente, ma instaura un dialogo che prevede alcune novità, tra le quali la più eclatante è il concordato biennale preventivo per le partite Iva. Per l’Italia questa è una rivoluzione.
C’è chi afferma che tale riassetto sia una specie di grande condono mascherato ad arte. Lei cosa risponde?
Rispondo che è più un condono mascherato credere che non affrontare il problema del fisco, sia più equo e più giusto. Se ci sono 1.200 miliardi di cartelle parcheggiati nell’Agenzia delle Entrate, vuol dire che qualcuno ha sbagliato qualcosa prima, non affrontando il problema.
Una montagna da 1.200 miliardi di cui solo l’8 o 9% esigibile…
Noi ora puntiamo a quelli, abbiamo appena istituito una commissione di esperti per svuotare quel magazzino. Poi dal 1° gennaio 2025 scatterà una convenzione con la stessa Agenzia per assicurare entrate più puntuali, con parametri più certi rispetto agli obblighi di notifica e alla capacità di recupero. Il tema è che se in cinque anni non si recupera vuol dire che evidentemente c’è una difficoltà. Il credito, comunque, non si cancella, torna all’ente creditore che poi può decidere come muoversi.
L’Italia è sulla buona strada per il Pnrr, ma il percorso per arrivare alla scadenza naturale, nel 2026, con tutti gli obiettivi centrati è ancora lungo.
Mi pare che si stia lavorando per evitare incidenti di percorso, la cantierizzazione degli investimenti è sempre il momento più difficile, specialmente in Italia. Ma se debbo dirla tutta mi pare che ci sia una buona sintonia con la Commissione europea, quindi gli incidenti di percorso mettiamoli anche in conto, ma sono certo che non ce ne saranno.