Nei primi mesi dell’anno gli istituti della Federazione hanno perso il 22% degli utili, anche per colpa dello yuan debole sul dollaro che ne ha intaccato le riserve, nell’illusione che la moneta cinese fosse migliore del biglietto verde. Un altro pessimo affare del Cremlino
A leggere la propaganda russa, l’economia della Federazione va a gonfie vele, quasi al passo di quella indiana. Ma i numeri, come sempre accade, raccontano un’altra verità. Nelle settimane in cui le grandi istituzioni finanziarie cinesi voltano uno dopo l’altra le spalle all’alleata Russia, ecco che dalla sponda del Dragone arriva un nuovo, potenziale problema. L’aver cercato a tutti i costi di sganciarsi dal dollaro, un po’ per ripicca contro gli Stati Uniti, un po’ per effetto imposto delle sanzioni che hanno tagliato Mosca fuori dai pagamenti internazionali ed essersi buttata tra le braccia dello yuan, sta presentando il conto.
Ieri sono stati diffusi alcuni dati relativi ai bilanci delle principali banche russe. I cui profitti, nel mese di febbraio, sono scesi nel complesso del 22% rispetto allo stesso mese dell’anno prima, ovvero a 275 miliardi di rubli, su per giù, 3 miliardi di dollari. Questo, ha spiegato la stessa banca centrale russa, i cui asset sono ormai stati confiscati dall’Europa e pronti alla liquidazione, per effetto del rallentamento dei prestiti concessi all’economia. Senza nuova finanza, niente nuove commissioni e interessi. Di più. Il grosso dei finanziamenti concessi alle imprese, è stato erogato in yuan, la moneta che secondo la logica di Mosca dovrebbe stravolgere il baricentro monetario globale, ancora ancorato al dollaro.
Ed è proprio questo il problema: lo yuan è ancora molto debole rispetto al dollaro e questo ha inevitabilmente impattato sui bilanci delle banche della Federazione. Negli ultimi mesi, infatti, la moneta cinese si è ulteriormente deprezzata sul biglietto verde, diventando meno competitiva, sull’onda dei cali registrati anche dallo yen giapponese e dalle valute di altri Paesi vicini, Corea del Sud, Thailandia e Taiwan, in testa. Questo ha delle conseguenze. Non è certo un caso se la seconda banca più grande della Russia, Vtb, abbia riportato nelle medesime ore un calo del 33,2% su base annua dell’utile netto nel periodo gennaio-febbraio, a 61,3 miliardi di rubli (661,26 milioni di dollari).
Non è finita. La stessa Banca centrale russa ha attuato negli anni della guerra contro l’Ucraina, una progressiva riduzione di asset statunitensi a favore di oro, euro e yuan, la cui singola quota ammontava al 17,1% prima della guerra, tra le più alte al mondo. Oggi il valore complessivo delle riserve estere della Russia ammonta a 581,7 miliardi di dollari. Un cuscinetto finanziario, utile in caso di crisi valutaria o di liquidità, che si è deteriorato per effetto del superdollaro. Lo yuan, a conti fatti, non porta bene agli affari di Mosca.
Travalicando il tema banche, si potrebbe dire che la pioggia di sanzioni scattate dopo lo scoppio della guerra in Ucraina non ha avuto finora tutti gli effetti previsti. In questi due anni gli equilibri della bilancia commerciale russa si sono profondamente modificati ma il Paese non ha avuto quella grave recessione che il Fondo monetario internazionale aveva ipotizzato. Almeno fino ad ora.