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L’arte di costruire e coltivare le alleanze. Dove falliscono i capi, la parola agli elettori

Per mettere insieme due elettorati che, in partenza, condividono solo l’opposizione al governo delle destre, appare indispensabile rinunciare alla reciprocità del fuoco che è proprio fuori luogo chiamare “amico”. Vincere sulle carni del proprio indispensabile alleato significa solo continuare a perdere. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica, socio dell’Accademia dei Lincei

Sbagliata fin dall’inizio (ah, se chi vuol fare politica studiasse o almeno leggesse un po’ di Scienza politica!), l’espressione “campo largo” è finalmente da cestinare senza nessuna riluttanza. Nella pratica, né a Bari né altrove esiste nessun campo largo nel quale rincorrere l’elettorato di sinistra, conquistarlo, sommarlo. Ci sono campetti di elettori/trici fedeli, testardi, spesso faziosi, molto refrattari, poco inclini a farsi sommare. Eppure, dare vita a coalizioni vincenti è l’arte della politica. Richiede pazienza e idee.

Schematicamente sosterrò che, in misura diversa, né Schlein né Conte sembrano avere dimostrato di essere in possesso delle due doti necessarie in quantità sufficienti. Allora, vadano pure verso lo schema prodiano: competition is competition, meglio, naturalmente, senza esagerare nelle accuse reciproche scavando fosse in quel campo.

Per mettere insieme due elettorati che, in partenza, condividono solo l’opposizione al governo delle destre, appare indispensabile rinunciare alla reciprocità del fuoco che è proprio fuori luogo chiamare “amico”. Vincere sulle carni del proprio indispensabile alleato significa solo continuare a perdere. Non sarebbe neanche una vittoria di Pirro, ma una vittoria da “pirla”. Suggerisco come punto di partenza quella riflessione mai avvenuta sulle condizioni che hanno portato alla vittoria di Alessandra Todde in Sardegna.

La scelta in una buona candidatura è l’elemento maggiormente unificante. Viene prima di qualsiasi programma perché nelle elezioni a cariche monocratiche (presidente di regione e sindaco), le singole persone, con le loro esperienze, le loro competenze, le qualità professionali, politiche, personali, sono il programma. Sono le gambe sulle quali la coalizione correrà per conquistare quella carica. Qualcuno dirà che proprio il caso di Bari, dove né Conte né Schlein vogliono “sacrificare” il loro candidato, costituisce la prova provata che i due campetti rimarranno separati e che la sconfitta sarà meritatissima. Ineccepibile. Schlein ha tentato di riunificare i campetti con le primarie. Conte si è chiamato fuori. Forse, gli attivisti condividono. Rimane, però, una grande, potenzialmente decisiva, opportunità offerta dalle regole di quella buona legge attraverso la quale si eleggono i sindaci. Difficile che il candidato delle destre baresi vinca al primo turno. Al ballottaggio, insieme a lui, si presenterà chi fra il candidato pentastellato e il candidato democratico avrò ottenuto più voti. Soltanto una tremenda combinazione, che non escludo, di narcisismo e faziosità potrebbe tradursi nella non convergenza dei voti democratici sul pentastellato o viceversa.

Insomma, la convergenza non fatta dai capi verrebbe prodotta, magari grazie anche all’incoraggiamento di Conte, Schlein e con una nobile dichiarazione del candidato sconfitto, dagli elettorati. Naturalmente, questo, che sarebbe il migliore degli esiti possibile, è ripetibile in altri contesti locali con gli adattamenti dei diversi casi. Anche i capi dei partiti talvolta imparano. A livello nazionale, in attesa delle nuove regole elettorali, un po’ tutti i “centro-sinistri” saranno chiamati a operare per un rapporto più stretto e solidale già in partenza. Una mia stretta e brava collaboratrice sostiene che suo figlio di sei anni, sarà il federatore delle sinistre italiane. A buon intenditor/trice poche parole.



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