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Caro Casini, è tempo di…

Dopo le elezioni regionali sarà bene che Pier Ferdinando Casini si fermi un poco a riflettere sull’Udc, sul centro, sul futuro dell’area moderata. Due anni dopo le politiche del 2008 in cui seppe difendersi in modo egregio dalla morsa Berlusconi-Veltroni, è necessario per lui fare qualche bilancio. Casini potrebbe tracciare una riga su un foglio bianco e scrivere a sinistra ciò che è andato bene in questo lasso di tempo e a destra ciò è andato male (o potrebbe andar male nel prossimo futuro).
Nello spazio di sinistra, al primo punto, potrebbe iscrivere la capacità di sopravvivenza di una forza intermedia, cioè né troppo piccola né troppo grande, in un’Italia in cui la legge elettorale favorisce la scansione bipolare dei partiti in campo. Non era facile riuscirci, basta vedere il destino a cui sono andati incontro soggetti politici che sembravano inamovibili fino a due anni fa: da Rifondazione ai Comunisti italiani ai Verdi. Si dirà che si trattava di gruppi usciti malridotti  dall’esperienza del governo Prodi, rispetto alla quale l’Udc era rimasta all’opposizione. E’ vero, ma è altrettanto sicuro che qualcuno fra questi partiti avesse radici sociali abbastanza solide: è il caso, quanto meno, di Rifondazione, il riferimento politico dell’allora presidente della Camera, Bertinotti.
La legge elettorale che ha tagliato le gambe alla sinistra radicale avrebbe potuto fare lo stesso con l’Udc. Ma Casini è stato abile nel mantenere unita la sua base, portando nel dibattito politico un tono serio e pacato che è apparso come l’antitesi di un confronto elettorale piuttosto nevrotico; e alla fine concluso, come sappiamo, con la larga vittoria di Berlusconi: il che rende ancora più significativa la relativa affermazione ottenuta dall’Udc.
Il secondo punto nella casella di sinistra riguarda la “tenuta” post-elettorale dei centristi. Le lusinghe non sono mancate, soprattutto da parte del Pdl, come pure le disavventure giudiziarie di importanti esponenti, primo fra tutti il governatore della Sicilia, Cuffaro. Tuttavia, e fino al voto regionale di quest’anno, l’Udc ha mostrato una compattezza di cui pochi la credevano capace. Non solo: la nascita della rutelliana Alleanza per l’Italia, al di là dei numeri modesti, è la prova che l’area centrista può diventare aggregante, specie se passa l’idea che il bipolarismo, questo bipolarismo tanto aspro quanto poco concreto, lascia insoddisfatta una certa quota di elettori.
Da ultimo va registrato come fattore positivo – forse il più importante di tutti – l’abilità mediatica del leader. Casini sa stare in televisione, sa polemizzare e trova spesso argomenti adatti ai “talk show”. Soprattutto è capace di “vestire” le sue posizioni tattiche fino a farle apparire strategiche. Non è poco: grazie a questa attitudine il presidente dell’Udc riesce a mascherare i lati deboli della sua politica, quando ci sono, e ad accrescere il peso specifico del partito nell’immaginario pubblico.
Veniamo al lato destro del nostro foglio. Le cose che non vanno.
In primo luogo manca proprio la volontà di definire un orizzonte strategico che sia reale e non solo fittizio, cioè televisivo. L’Udc è un partito maestro nella tattica, ma talvolta esagera. Nei mesi che hanno preceduto le regionali abbiamo visto ogni sorta di giravolta: alleanze con il centrosinistra, intese con il centrodestra, liste solitarie. In Puglia è stata tentata un’operazione ambiziosa destinata a essere la prova generale di un accordo più ampio, sia pure da costruire nel tempo. L’operazione, come è noto, non è riuscita e Casini ha espresso la sua “delusione” verso il Pd. Poi è riuscito a restituire equilibrio alla linea, sottilineando che l’Udc si schiera al nord contro la lega e al Sud contro la sinistra radicale. Rimane però la sensazione che ci sia stata qualche incoerenza di troppo e che soltanto a posteriori il leader abbia saputo ricomporre le contraddizioni.
Secondo punto, connesso al primo. Troppe volte l’Udc sembra timido o insufficiente quando si tratta di precisare i contenuti della sua politica. L’ambizione di voler essere un partito moderato, con forti legami con i valori cattolici, è ben chiara. Ma l’Udc vuole anche essere riconosciuta come una forza liberaldemocratica, erede del proficuo incontro di governo, ai tempi della Prima Repubblica, fra democristiani e laici. Qui occorre dire che la proposta complessiva appare piuttosto povera. Al di là dei temi legati alla salvaguardia anche economica e sociale della famiglia, nonché a un solido europeismo, non si può dire  che i programmi dei centristi brillino per originalità e accuratezza. Tanto meno per respiro riformatore e modernizzatore. Troppe volte sembrano subordinati ai giochi tattici del momento.
Ad esempio, Casini si è esposto a qualche critica per il patto sottoscritto in Piemonte con la candidata del Pd, Mercedes Bresso, personalità che non nasconde la sua forte impronta laica. Senza dubbio in questo caso i programmi della Bresso e dell’Udc non coincidono, specie sui temi cosiddetti “etici”. Ma il leader centrista si è cavato d’impaccio affermando che proprio le questioni etiche (ad esempio la disponibilità della “pillola del giorno dopo”) non dipendono dalla Regione e quindi non sono d’ostacolo all’alleanza. Il che è vero, ma allora perché invocare i programmi per giustificare intese elettorali poco omogenee?
 Forse Casini dovrà essere più preciso nell’indicare cosa vuole davvero fra tre opzioni diverse e difficilmente conciliabili. La prima è quella classica: la costruzione di un “grande centro”, casa comune di tutti i moderati. Ma per riuscirci è necessaria una condizione oggi indisponibile: l’uscita di scena, cioè il ritiro dalla politica, di Silvio Berlusconi e il successivo “big bang” del Pdl. Può accadere, magari accadrà prima del 2013; eppure al momento nessuno può dirlo. E’ rischioso far dipendere un’intera strategia da un’ipotesi incontrollabile.
La seconda opzione riguarda la “partnership” con una sinistra riformista, desiderosa di costruire un rapporto solido con il centro. E’ uno scenario di impianto tradizionale che nel Pd conduce  alle posizioni di Bersani e D’Alema. Ma la prospettiva si è rivelata fin qui molto fragile. C’è tempo per darle sostanza, visto che non si voterà più fino al 2013, eppure i rischi sono quasi superiori ai vantaggi. Casini teme di inquietare (e quindi destabilizzare) oltre il dovuto il suo elettorato prima che l’ipotesi prenda forma concreta. E perciò si muove con i piedi di piombo, senza nascondere una dose di diffidenza verso le incertezze del vertice del Pd. Anche qui verrà il momento della chiarezza. Casini vuole essere il futuro alleato di una sinistra razionale e modernizzatrice, ammesso che esista, o punta ad altro?
Infatti la terza ipotesi riconduce dentro il recinto del centrodestra. Dove il leader dell’Udc potrebbe combattere la sua battaglia per cambiare il carattere del Pdl troppo Lega-dipendente e ambire alla successione di Berlusconi. Ma è un sentiero tortuoso e quando in passato Casini si è mosso in questa prospettiva – prima della rottura del 2008 – i fatti non lo hanno confortato. Allo stato dell’arte, questa terza ipotesi finisce per essere una variante della prima: l’aspirazione a un “grande centro” destinato a nascere quando Berlusconi non sarà più il collante del centrodestra.
Come si vede, individuare una strategia da sviluppare nel medio termine, cioè fino alla fine della legislatura, è complicato. Ma Casini non potrà esimersi dal chiarire i punti oscuri della presenza politica dell’Udc. Anche perché la sua forza futura dipenderà dalla capacità di costruire un partito d’opinione, in luogo del partito attuale, in cui il peso delle clientele, almeno nel Mezzogiorno, è rilevante. Si dovrà partire dalle proposte, dalle idee. Forse Casini farebbe bene a insistere sui temi che qualificano un progetto liberal-demiocratico per il paese. Sul piano delle riforme economiche e anche sul terreno delle riforme costituzionali. Con coraggio e lungimiranza.


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