Del documento Dignitas infinita si è parlato in queste ore per i capitoli, certamente importanti, contro il gender e la maternità surrogata. Vi figurano però molti altri temi tra cui il dramma della povertà, il travaglio dei migranti, la tratta delle persone, la violenza contro le donne. Presentare appropriatamente tutto è impossibile. È importante, però, nell’ottica dell’incontro ribadire la disponibilità espressa. La riflessione di Riccardo Cristiano
C’è una frase cruciale del più noto (e autorevole) filosofo vivente, Jürgen Habermas, che ci introduce al concetto di società post-secolare affermando che in essa la modernizzazione della coscienza pubblica si impadronisce e altera di riflesso la mentalità religiosa e secolare in fasi alterne, si sta facendo strada. Per questo a suo avviso c’è la speranza che se insieme comprendono che la secolarizzazione della società è un processo di apprendimento, entrambe le parti possono, per ragioni cognitive, prendere sul serio i contributi dell’altra parte ai temi controversi della sfera pubblica.
Mi pongo in questa prospettiva e trovo che la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, Dignitas infinita, pur partendo da verità di fede ed essendo compiutamente confessionale, lo consenta.
Già scorrendo velocemente il testo si noteranno tre immediate preoccupazioni: far intendere che non si separa il discorso su quella che chiamo la “dignità non negoziabile” (cioè quella relativa all’etica sessuale e sul fine vita) dalle “altre” dignità. Questo è chiaro sin dalle prime righe e spiega il titolo del documento. I fondamenti della dignità umana e della nostra fiducia in essa come regola “aurea” per ciascuno di noi vengono ovviamente ritrovati nella fede e in particolare negli insegnamenti cristiani, ma non solo in questi. I riferimenti, anche qui espliciti e ripetuti oltre che chiarissimi sin dalle prime righe, alla cultura antica, in particolare greca, e poi alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (non di Dio) sono di assoluta centralità, dando quindi riconoscimenti , che per alcuni potrebbero sembrare inattesi, alla “cultura moderna”, tanto che si legge: “Come già richiamato da Papa Francesco, nella cultura moderna, il riferimento più vicino al principio della dignità inalienabile della persona è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che san Giovanni Paolo II ha definito pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano”, e come una delle più alte espressioni della coscienza umana. Per resistere ai tentativi di alterare o cancellare il significato profondo di quella Dichiarazione, vale la pena ricordare alcuni principi essenziali che devono essere sempre onorati”.
Questa richiesta di onorare sempre porta al primo punto di differenziazione tra la Chiesa e buona parte del pensiero secolarizzato: “In primo luogo, benché si sia diffusa una sempre maggiore sensibilità al tema della dignità umana, ancora oggi si osservano numerosi fraintendimenti del concetto di dignità, che ne distorcono il significato. Alcuni propongono che sia meglio usare l’espressione ‘dignità personale’ (e diritti ‘della persona’) invece di ‘dignità umana’ (e diritti dell’uomo), perché intendono come persona solo ‘un essere capace di ragionare’. Di conseguenza, sostengono che la dignità e i diritti si deducano dalla capacità di conoscenza e di libertà, di cui non sono dotati tutti gli esseri umani. Non avrebbe dignità personale, allora, il bambino non ancora nato e neppure l’anziano non autosufficiente, come neanche chi è portatore di disabilità mentale. La Chiesa, al contrario, insiste sul fatto che la dignità di ogni persona umana, proprio perché intrinseca, rimane ‘al di là di ogni circostanza’, ed il suo riconoscimento non può assolutamente dipendere dal giudizio sulla capacità di intendere e di agire liberamente delle persone. Altrimenti la dignità non sarebbe come tale inerente alla persona, indipendente dai suoi condizionamenti e meritevole, pertanto, di un rispetto incondizionato. Solo riconoscendo all’essere umano una dignità intrinseca, che non può mai essere perduta, è possibile garantire a tale qualità un inviolabile e sicuro fondamento. Senza alcun riferimento ontologico, il riconoscimento della dignità umana oscillerebbe in balìa di differenti ed arbitrarie valutazioni. L’unica condizione, dunque, per poter parlare di dignità per sé inerente alla persona è la sua appartenenza alla specie umana, per cui i diritti della persona sono i diritti dell’uomo”.
Dunque non sono i diritti di Dio, un tempo molto importanti per la Chiesa, il pomo della discordia, ma questa “dignità ontologica”; non riconoscerla come tale per il documento può poi portare a pericolose conseguenze. Questo discorso, che non presume diritti attribuiti a Dio, può porre le basi per un confronto? Forse non esclude considerare l’aborto terapeutico, il tempo necessario alla certa formazione di una “vita compiutamente umana”, la scelta consapevole del malato prima di perdere la propria capacità di intendere e di volere, che a mio avviso non incidono sulla condivisibilità della dignità intrinseca o “ontologica”.
E proprio qui interviene un altro punto importante per valutare la sostanza di questo documento come contributo compatibile con una società “post-secolare”. Questo: “La dignità umana, alla luce del carattere relazionale della persona, aiuta a superare la prospettiva riduttiva di una libertà autoreferenziale e individualistica, che pretende di creare i propri valori a prescindere dalle norme obiettive del bene e dal rapporto con gli altri esseri viventi. Sempre più spesso, infatti, vi è il rischio di limitare la dignità umana alla capacità di decidere discrezionalmente di sé e del proprio destino, indipendentemente da quello degli altri, senza tener presente l’appartenenza alla comunità umana. In tale comprensione errata della libertà, i doveri e i diritti non possono essere mutuamente riconosciuti di modo che ci si prenda cura gli uni degli altri”.
Se attribuiamo questo ragionamento al diritto d’asilo, al diritto di reinsediamento fuggendo da persecuzioni o devastazioni, benché questo ci possa apparire (molto spesso non lo è) limitativo del nostro individuale benessere, si potrà trovare una consonanza o dissonanza che poi viene capovolta, nella valutazione politico-culturale, se lo attribuissimo al tema cosiddetto della maternità surrogata, ampiamente presente e respinta nel documento.
Questo rischio (una accettabilità da “sinistra” se letta in un modo e una accettabilità da “destra” se letta in un altro modo) pone a mio avviso l’evidenza di contraddizioni interne alle destre e alle sinistre, alternativamente liberiste, la sinistra nell’individuale e la destra nel sociale.
Lo si capisce ancor meglio se si prende atto di un altro caposaldo del Documento: “La dignità dell’essere umano comprende così anche la capacità, insita nella stessa natura umana, di assumersi degli obblighi verso gli altri”. E qui gli altri non solo soltanto gli altri umani. Infatti il testo chiarisce: “La differenza tra l’essere umano e il resto degli altri esseri viventi, che risalta grazie al concetto di dignità, non deve far dimenticare la bontà degli altri esseri creati, che esistono non solo in funzione dell’essere umano ma anche con un valore proprio, e pertanto come doni a lui affidati perché siano custoditi e coltivati. Così, mentre si riserva all’essere umano il concetto di dignità, si deve affermare allo stesso tempo la bontà creaturale del resto del cosmo”. Il discorso religioso del papa parte dalla bontà di tutto ciò che ha creato Dio, ma chi può arrogarsi il diritto di definire dannosa la pioggia, o le betulle, o le lucertole?
Di questo Documento si è parlato in queste ore per i capitoli, certamente importanti, contro il gender e la maternità surrogata. Vi figurano anche il dramma della povertà, la guerra, il travaglio dei migranti, la tratta delle persone, gli abusi sessuali (soprattutto nella Chiesa), la violenza contro le donne, l’aborto, l’eutanasia e il suicidio assistito, lo scarto dei diversamente abili, il cambio di sesso, la violenza digitale. Presentare appropriatamente tutto è impossibile. Trovo importante, proprio per l’ottica dell’incontro da cui sono partito, questa ribadita disponibilità: “Certamente la dignità del malato in condizioni critiche o terminali chiede a tutti sforzi adeguati e necessari per alleviare la sua sofferenza tramite opportune cure palliative ed evitando ogni accanimento terapeutico o intervento sproporzionato”.