Skip to main content

L’oro nero e il dilemma dello Yasunì

Charles Darwin apprezzerebbe l’ironia costituita dal Parco nazionale Yasuní nell’Amazzonia ecuadoregna. Yasuní, che ospita una delle maggiori concentrazioni di biodiversità della terra, è essa stessa, come direbbe Darwin, “in lotta per la sopravvivenza”. Il progetto di trivellazione dei campi petroliferi di Ishpingo-Tambococha-Tiputini (Itt) andrebbe ad interessare una riserva petrolifera stimata in oltre 10 miliardi di dollari – e al tempo stesso distruggerebbe questo tesoro globale.
Darwin, che sviluppò la teoria dell’evoluzione sulle famose isole Galapagos, al largo dell’Ecuador, riconosceva l’importanza delle connessioni tra specie diverse. In base alla sua osservazione, concludeva che nessuna specie – nemmeno quella umana – poteva vivere isolata dagli altri esseri viventi. Ogni organismo fa affidamento a processi naturali per sopravvivere e contribuisce all’equilibrio naturale – e in ultima analisi, alla sopravvivenza di ogni vita sul nostro pianeta. Tuttavia a Yasuní siamo di fronte ad una tragica alternativa tra l’uomo e il suo ambiente.
 
Tra le rigogliose foreste amazzoniche dell’Ecuador un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Per molti ecuadoregni, l’opportunità economica sotto lo Yasuní – all’incirca un quinto delle riserve petrolifere accertate dell’Ecuador – pone una dolorosa scelta tra biodiversità e ricchezza.
È comprensibile che molti scelgano la seconda. Nel 2007 greggio e petrolio raffinato hanno rappresentato oltre la metà dei proventi dell’export del Paese. Ma estrarre oltre 800 milioni di barili di greggio da sotto lo Yasuní, e bruciarne i combustibili derivati, vorrebbe dire produrre oltre 400 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica, pari all’impronta di carbonio dell’intero Brasile! La conseguente deforestazione aggiungerebbe altri 800 milioni di tonnellate alla massa di carbonio, una quantità uguale a quella emessa ogni anno dalla Germania. E il danno permanente a migliaia di specie – e alle tribù indigene Tagaeri e Taromenane, ancora isolate dal resto del mondo – sarebbe troppo grande da quantificare.
 
La scoperta nel sottosuolo dello Yasuní ha aperto un dibattito veemente, ma la maggioranza degli ecuadoregni preferisce lasciare il petrolio nel sottosuolo e lo Yasuní intatto, nonostante i sacrifici finanziari che ciò implica. Un nuovo “piano A”, annunciato qualche anno fa dal presidente Rafael Correa, potrebbe prevenire l’estrazione di petrolio dallo Yasuní se la comunità internazionale potesse compensare le perdite economiche derivate dal bando della trivellazione. Le Nazioni Unite hanno replicato al piano dell’Ecuador, e nel 2010 hanno lanciato un fondo speciale per questa iniziativa, lo Yasuní Itt trust fund. Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) gestisce il fondo, e un comitato esecutivo indipendente sovraintende alla sua operatività. L’obiettivo del fondo adesso è raccogliere nei prossimi tredici anni 3,6 miliardi di dollari da investimenti esteri, compagnie straniere e investitori privati. Chiedendo alla comunità internazionale di finanziare poco meno della metà delle rendite ipotetiche, l’Ecuador e l’Undp sperano di promuovere uno spirito di responsabilità globale per la conservazione dello Yasuní. Un bando alla trivellazione nello Yasuní porterebbe enormi benefici all’Ecuador e al mondo. I fondi raccolti da questa iniziativa sarebbero investiti nello sviluppo domestico dell’energia alternativa, con l’obiettivo di modificare il mix energetico nazionale. Gli eventuali proventi del nuovo sistema energetico sarebbero a loro volta investiti in programmi sociali e ambientali.
 
Inoltre, a chi contribuirà al fondo fiduciario, amministrato dalle Nazioni Unite, verranno offerti certificati di garanzia legalmente riconosciuti. Si tratta di strumenti finanziari che imporranno al governo di Quito di rimborsare il valore nominale dei contributi nel caso che il fondo fallisca. In questo modo l’Ecuador emergerebbe come modello internazionale di una politica energetica sostenibile. Il Fondo fiduciario Yasuní Itt trust fund mira a raccogliere 100 milioni di dollari entro fine anno. Se l’obiettivo non verrà raggiunto, le pressioni per portare avanti il progetto di trivellazione diverranno prevalenti. La comunità internazionale non può lasciare che questo accada.
Come Darwin, anche noi dobbiamo riconoscere che ci sono interconnessioni profonde tra tutte le creature viventi. Ognuno di noi dipende da un gran numero di piante, animali e microbi e dai servizi vitali che esse forniscono. L’immensa biodiversità dello Yasuní porterà a nuove medicine e nuovi modelli di ricerca medica per combattere malattie gravi – ma solo se riuscirà a vincere la sua battaglia per la sopravvivenza. Sarà così soltanto se capiremo che lo Yasuní non appartiene solo all’Ecuador, ma a tutti noi, e che è nostra responsabilità difenderlo in ogni istante.
 
© Project Syndicate 2011. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


×

Iscriviti alla newsletter